di Renzo Baricelli – Redazione
Ricordo, 12 aprile 1961, la piazza Navoì e tutto il centro di Taskent (capitale della repubblica socialista sovietica dell’Usbekistan) invaso da un milione di uomini e donne di tutte le età, che esprimevano una gioia immensa per il il ritorno di Yuri Gagarin sulla terra, dopo aver fatto due giri in orbita intorno al pianeta. Anch’io ero frastornato, emozionato e felice in quella piazza e, insieme a me, un gruppo di cinquanta giovani sindacalisti di tutto il mondo.
Partecipavamo a un seminario della Federazione Sindacale Mondiale e dell’Unesco sul tema “I giovani lavoratori e la cultura”.
Fu un evento grandioso e una grande festa, un grande orgoglio, ci sentivamo costruttori del futuro del mondo. Fummo intervistati e ricordo che un giornale usbeco aveva pubblicato un mio commento che esaltava quella storica conquista dell’umanità e del socialismo.
Poi, il primo maggio a Mosca, ero nella tribuna d’onore per gli ospiti stranieri, a 20 metri dal podio dove salì Gagarin.
Un vento freddo faceva turbinare un rado nevischio, non sapevo come ripararmi, avevo in tasca un leggero berretto usbeco di cotone e me lo misi in testa, un ben scarso riparo.
Ma nessuno, su quella tribuna e nessuno tra la immensa folla che sfilava sulla Piazza Rossa, avrebbe potuto distrarsi: tutti guardavamo come ipnotizzati, quel piccolo grande eroe che rappresentava il futuro.
Sono ricordi che non mi hanno mai abbandonato. La festa di quel primo maggio durò tutta la notte e avevo la sensazione che il “privato” di ciascuno si fondesse con quello di tutta l’umanità.
Renzo Baricelli. 14 aprile 2021, Sesto San Giovanni