Voto segreto: verso azzeramento della democrazia

Urne aperte per pochissimi
di Riccardo Chiari, ROMA, 27.9.2014

Metropoli e periferie. Criticata da sinistra, destra e cinquestelle, la legge Delrio di riforma delle province va alla prova delle urne. Fra alleanze di larghissima intesa, e un voto riservato ai soli sindaci e consiglieri comunali
Fin­gendo di voler abbat­tere i costi della poli­tica, si com­pri­mono i diritti e si sce­glie di tagliare le pra­ti­che della demo­cra­zia”. Se denunce come que­sta, fatta nello spe­ci­fico dall’empolese Mauro Valiani di Sel e dal fio­ren­tino Andrea Mal­pezzi di Rifon­da­zione, arri­vano anche da destra e per­fino dai pen­ta­stel­lati, vuol dire che l’assai teo­rica can­cel­la­zione delle Pro­vince dise­gnata da Gra­ziano Del­rio ha seri pro­blemi di legit­ti­mità. Sostan­ziale ma anche for­male, visti i ricorsi alla Con­sulta di Lom­bar­dia, Veneto, Cam­pa­nia e Puglia. Per giunta la legge 56/2014, che da oggi al 12 otto­bre tro­verà le sue prime appli­ca­zioni con le ele­zioni “di secondo livello” di otto città metro­po­li­tane e una ses­san­tina di pro­vince, non cam­bia certo la sostanza dei libri con­ta­bili: per le casse sta­tali, il rispar­mio sulle inden­nità eli­mi­nate è stato cal­co­lato in una tren­tina di milioni. Bri­ciole. Anche e soprat­tutto rispetto a un voto che non è più un diritto degli elet­tori ita­liani, ma viene affi­dato ai soli sin­daci e con­si­glieri comu­nali. Insomma, urne aperte per pochissimi.
“La sfida della nuova città metro­po­li­tana sta altrove – risponde alle cri­ti­che l’assessore toscano alle riforme isti­tu­zio­nali, il dem Vit­to­rio Bugli — sta nel fatto che la nuova città rie­sca a dre­nare nuove risorse. Risorse dall’alto, dallo Stato e soprat­tutto dall’Europa. Altri­menti che l’abbiamo fatto a fare un nuovo livello di governo inter­me­dio? Per fare le cose che, com­pe­tenza più com­pe­tenza meno, faceva già la pro­vin­cia?”. Dun­que la legge Del­rio serve a bus­sare a cassa. Soprat­tutto alle porte della Ue, che appare tanto sen­si­bile al tema delle città metro­po­li­tane quanto sorda alle esi­genze delle province.
In que­sta pecu­liare dimen­sione della pro­pria azione poli­tica, agli occhi del governo poco o nulla con­tano le moti­vate pro­te­ste sulla demo­cra­zia scip­pata, e le osser­va­zioni cri­ti­che su una riforma che nei fatti man­tiene ai nuovi “enti di area vasta” molte delle com­pe­tenze della vec­chia isti­tu­zione. Fra le quali spic­cano la “pia­ni­fi­ca­zione ter­ri­to­riale gene­rale”, cioè il coor­di­na­mento delle poli­ti­che urba­ni­sti­che, e il “piano stra­te­gico” di svi­luppo per l’intero ter­ri­to­rio. Per il resto, anche l’ultima recen­tis­sima riu­nione della Con­fe­renza delle Regioni non ha sciolto il nodo sulle ulte­riori com­pe­tenze che potreb­bero essere distri­buite ai nuovi enti di area vasta, città metro­po­li­tane o pro­vince che siano. In pra­tica, è stato deciso che ogni Regione valu­terà per conto pro­prio cosa con­ce­dere e cosa tenere per sé.
Nel men­tre le varie forze poli­ti­che si attrez­za­vano per le ele­zioni. Per­ché se gli elet­tori sono dav­vero pochi, il fun­zio­na­mento del voto è dav­vero bizan­tino. Il peso della pre­fe­renza di ogni elet­tore non è iden­tico ma dipende dalla popo­la­zione del Comune in cui si eser­cita la carica: all’aumentare della popo­la­zione aumenta il peso del voto. Così il sistema pre­vede che i comuni siano divisi in fasce in base alla popo­la­zione. E per cia­scuna di que­sta fasce è stato deter­mi­nato, con un cal­colo fis­sato dalla legge Del­rio, un indice di pon­de­ra­zione con cui mol­ti­pli­care ogni sin­golo voto.
Fatti i com­pli­cati conti, nelle varie realtà dove in que­sti giorni si va al voto si è fatto spesso di neces­sità virtù. Anche con alleanze spu­rie e, almeno for­mal­mente, discu­ti­bili. Giu­sti­fi­cate tal­volta con la volontà di avviare una cosid­detta “fase costi­tuente”, come nel caso di Genova dove c’è un listone unico Pd-Sel-Fi-Ncd. Un listone ana­logo c’è a Torino, con avver­sari la Lega e il M5S. Men­tre a Milano c’è una lista di Forza Ita­lia, Ncd e Fdi, una di Pd, Sel e Rifon­da­zione, con la Lega che corre in soli­ta­rio e il M5S è fuo­ri­gioco per le man­canza delle firme neces­sa­rie per potersi pre­sen­tare. Quanto a Roma, ci sono sin­gole liste di Pd, Forza Ita­lia, M5S, Ncd, e la lista che riu­ni­sce Sel, Rifon­da­zione e rap­pre­sen­tanti di movi­mento eletti nell’area metro­po­li­tana. Fra le curio­sità c’è il caso di Massa Car­rara, dove il can­di­dato dem Nar­ciso Buf­foni inviso ai ren­ziani non potrà disporre del sim­bolo tri­co­lore. Men­tre alla pro­vin­cia di Livorno il robu­sto peso del M5S vit­to­rioso nel capo­luogo andrà sul sin­daco di Suve­reto, Giu­liano Parodi, dichia­ra­ta­mente di sinistra.
fonte: il Manifesto
http://ilmanifesto.info/urne-aperte-per-pochissimi/