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Data per spacciata una prima volta con l’arrivo della televisione, l’invenzione geniale di Marconi resta in ottima salute. Dopo oltre un secolo di vita sta dimostrando di sapersi adattare perfettamente alla stessa rivoluzione digitale. I dati la premiano: ascolti, pubblicità e credibilità continuano a crescere. E il suo potere persuasivo resta intatto: negli Usa può cambiare le sorti della Casa Bianca, a Roma decide spesso il destino degli allenatori di calcio.
di CARLO CIAVONI, ALBERTO FLORES D’ARCAIS e MATTEO PINCI. Con un commento di ERNESTO ASSANTE. Video di MAURIZIO STANZIONE e MAURIZIO TAFURO. Illustrazione di JEZEK
Pragmatica e camaleontica
di CARLO CIAVONI
ROMA – Di epigrammi accorati, fiammeggianti, densi di dolore sulla sua possibile tomba, la radio ne ha dovuti ascoltare parecchi nella sua lunga vita. Una vita che alcuni in Italia vogliono far cominciare non tanto 91 anni fa, da quel 6 ottobre 1924 quando ci fu l’inizio ufficiale delle prime trasmissioni dell’Unione Radiofonica Italiana, poi Eiar e poi ancora Rai. No: c’è chi vorrebbe scrivere come data della sua venuta al mondo in Italia l’8 dicembre del 1895, 120 anni fa esatti, quando Guglielmo Marconi fece trillare tre volte un campanello posto a distanza a Villa Grifone nella località che ora si chiama Sasso Marconi. Insomma, è successo in diverse occasioni in tutto questo tempo, di sentirsi trattare come un’anziana e gloriosa combattente, sul punto di essere seppellita da logiche iper-neoliberiste sull’infallibilità del mercato.
Sussulto di vitalità. Momenti tristi, dunque, per la radio ce ne sono stati. Ad esempio, anche a metà degli anni Cinquanta, con l’inizio della programmazione Tv. Ma poi nel corso degli anni successivi, in un’altalena di “svenimenti” e “rianimazioni”, quando ha dovuto superare fasi in cui è sembrata lì lì per lasciarci o comunque finire nell’ombra. Un vero sussulto di vitalità ci fu poi all’indomani della sentenza della Corte Costituzionale del 1976, la numero 202 del 28 luglio. Cominciava la stagione delle “Radio Libere”. Che fino ad allora trasmettevano sfruttando un’interpretazione estensiva della legge allora vigente, la 103 del 1975, col rischio di denunce e sequestri. Nonostante tutto però, molte radio trasmettevano con regolarità. Solo a Roma, alla fine del 1975, ce n’erano già una dozzina in piena attività. L’ultima volta che il respiro della Radio s’è di nuovo fatto pesante, fu agli inizi negli anni ’90, quando – ancora una volta – le Tv commerciali sembrava stessero per sferrare il colpo finale e definitivo al medium più antico dell’era moderna.
E invece no. Gli anni successivi a quell’ultima stagione un po’ opaca hanno al contrario segnato una rimonta impressionante delle emittenti. L’ultima testimonianza viene da una ricerca della Gfk Eurisko e dalla Ipsos, dal titolo che annuncia già il senso e l’esito del sondaggio: “Come afferrare Proteo”, il personaggio mitologico dalle forme mutevoli, capace di adattarsi con rapidità ai cambiamenti attorno a lui.
Nessun dubbio. Le analisi delle due società di rilevamento non lasciano dubbi. Dicono e ribadiscono che la radio ha tutti i connotati per essere definita “immortale”, proprio grazie alla sua capacità di adeguarsi al mondo che la circonda. Un mondo geneticamente e tecnologicamente mutato, ma nel quale ha saputo convivere con discrezione assieme agli altri strumenti di comunicazione. Ma nello stesso tempo prosperando sulla nuova scena digitale, esibendo numeri che mostrano una crescita costante e, ciò che secondo gli analisti conta di più, aumentando la sua credibilità nella percezione diffusa tra il pubblico. Ha più valore un “… l’ha detto la Radio” che un “… l’ho sentito alla Tv”. Lo confermano le statistiche.
fonte: la Repubblica
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