. I vigili urbani romani hanno sbagliato. Le proteste e il conflitto si fanno mettendoci la faccia, la lotta e spiegando le proprie ragioni, anche portando disagi. I propri diritti si difendono collettivamente, non stando a casa a fare i cenoni. Oltre al fatto che era ampiamente prevedibile che una tale protesta si trasformasse in un boomerang.
Detto questo, non ci voleva molto a capire che la vicenda dell’assenteismo di massa dei vigili urbani di Roma, legata alla questione della rotazione degli agenti e alla definizione del salario accessorio, non aveva niente
a che fare con il canovaccio narrativo dei “fannulloni da punire” che è stata ampiamente regalata dal mainstream.
A Roma, dopo settimane di conflitto su rotazione e salario accessorio, si è arrivati a questa forma di sciopero bianco, con i certificati medici, per manifestare una forma di profondo disagio verso il comportamento del comune. Poi, l”uso antisindacale della tv, strumento sovrano della regolazione dei conflitti in ogni tipo di sciopero, ha comunque seguito il proprio, abituale corso. Rappresentando la vicenda come una questione di pigra e vile diserzione dai doveri del servizio di fine anno. Quando però una vicenda esce dalla normale conflittualità tra parti sociali, istituzioni comprese, per entrare nel novero dei fenomeni da baraccone da guardare in tv all’ora di cena vuol dire che qualcosa sta accadendo. Anche qui non ci vuole molto per capirlo: la voce “pubblico impiego”, variegata e sterminata per le categorie professionali che contiene quanto ben corposa per i revisori dei conti di Bruxelles, va affrontata di petto per acquisire decimi di Pil da sacrificare sull’altare della “crescita”. Sacrificio che si fa poi attaccando a fondo la struttura del salario mettendo in discussione quello accessorio in molti casi, nel pubblico impiego, la vera voce che decide la differenza tra un salario decente e il non riuscire a toccare il livello di sopravvivenza.
Per fare tutto questo sindacati come la Cgil servono sempre di meno. Se si impuntano su alcuni diritti minimi, giusto per garantire la sopravvivenza del ceto sindacale che li sostiene, siamo ben al di sotto delle necessità di taglio dei bilanci da parte degli amministratori del Pd. Se vengono usati per contenere le rivendicazioni dei lavoratori, come in antichi tempi remoti, semplicente non sono ascoltati. Ecco quindi che c’è bisogno del circuito mediatico di valorizzazione delle pratiche di smantellamento del salario e dei diritti. La tv banalizza producendo i fannulloni da colpire, i sindaci (o gli amministratori) agitano lo spettro delle privatizzazioni e delle punizioni. Il sindaco Pd di Bari sulla questione degli autisti è arrivato ad agitare esplicitamente lo spettro della privatizzazione come punizione: “così dovrete vedervela con il padrone” ha detto il primo cittadino del capoluogo pugliese ai lavoratori.
E così, su diretta spinta di Bruxelles e delle necessità di dumping salariale pubblico e privato del modello Renzi (non dimentichiamo che l’Irlanda, modello del renzismo reale, per fare qualche anno di accumulazione ha toccato, al ribasso, costo del lavoro e delle amministrazioni) si è rinfocolata una campagna tutta forcaiola sui fannulloni e sugli sprechi. Certo, il pubblico impiego va riqualificato, reso utile per un paese che ha bisogno del pubblico come ossigeno. Ma una cosa è fare questo, entro una reale dialettica sindacale, un’altra far partire una campagna becera sui fannulloni (che “saranno puniti” promette pronta la ministro Madia) degna della Lega alla quale, evidentemente, si vogliono sottrarre elettori sul suo terreno. Prefigurando una spettacolarizzazione della pena del lavoratore e una sua “punizione” che nulla hanno a che vedere con il rapporto di lavoro contrattuale e molto con forme di servitù (che infatti “si punisce” se non fa il “suo dovere”) pre-industriali. Avanti così Matteo, ora mancano solo i tweet con la richiesta di un ddl del governo sulle punizioni corporali verso chi rallenta la crescita del Pil.
Fonte. Paneerose.it