Oggi (ieri per chi legge) ricorre il 70° anniversario dell’eccidio di Valaperta. Questa è da considerare una delle pagina più nere del fascismo in questa zona. Quattro partigiani furono fucilati dai repubblichini, per rappresaglia dopo l’uccisione di una militare della Gnr. Mario Piromallo
ECCIDIO DI VALAPERTA 3 GENNAIO 1945
Dal sito dell’ANPI sezione di Arcore
“Quando al brigadiere del distaccamento di Missaglia della G.N.R., fu richiesto di fornire informazioni su di un renitente alla chiamata alle armi di Valaperta, incaricò un suo milite, Gaetano Chiarelli, di andare al Comune di Casatenovo per avere notizie da trasmettere alla sede superiore. Il milite incaricato, non avendo ottenuto sufficienti informazioni in Comune, decise di sua iniziativa di recarsi presso la casa del giovane a Valaperta.
.Quel giorno nella valle della Bergamina di Maresso si era concentrato un gruppo di partigiani, capeggiato da Ferrario di Rogoredo e Farina di Casatenovo: due partigiani che, dopo aver fatto parte delle formazioni della Valsassina, erano scesi al piano. I partigiani si avviarono verso Valaperta dirigendosi all’osteria dove di solito facevano tappa. Giunti alle prime case della frazione, una donna corse loro incontro dicendo che c’erano dei repubblichini. Alcuni partigiani circondarono il gruppo di case e il cortile e si accorsero trattarsi di uno solo, il milite Chiarelli, già noto ad alcuni di loro per il suo zelo fascista: lo affrontarono, intimandogli di alzare le mani e consegnare le armi e la bicicletta e di fronte al suo rifiuto gli spararono addosso, uccidendolo. Erano circa le 16.30 di un lunedì e le donne stavano facendo il bucato. Gli abitanti di Valaperta che avevano assistito e conosciuto il fatto erano costernati: temevano la rappresaglia. Verso le 20.30 arrivarono a Valaperta il brigadiere della G.N.R. e alcuni suoi uomini. Tentano di far parlare gli abitanti ma tutti tacciono, terrorizzati. Minacciano di incendiare le case e l’intera frazione ma nessuno parla. Verso le 22.30 piomba su Valaperta, da Merate, un gruppo di una quindicina di brigatisti neri e da Missaglia il Commissario Prefettizio e il Comandante del Distaccamento della Brigata Nera, Ing. Emilio Formigoni. Alcuni degli inquirenti perquisiscono l’osteria e le zone circostanti, alla ricerca del corpo del milite ucciso. Mentre stanno ritornando verso le case, odono un intenso fuoco di fucileria, raffiche di mitra e scoppi di bombe provenire dalla borgata e quando vi giungono trovano una trentina di militi della G.N.R. che sparano all’impazzata nei cortili, incendiano i fienili e ordinano alla gente di uscire dalle case. Il capitano comandante, indifferente, guarda i suoi uomini in azione e a chi gli chiede di calmarli risponde che quegli uomini sono da poco rientrati dalla Valsassina dove hanno subito pesanti perdite ad opera dei partigiani, che sono eccitati per l’uccisione del Chiarelli, che lui non può fermarli e che il morto appartiene alla G.N.R. la quale è nel pieno diritto di vendicarlo come crede. Intanto le fiamme divampano, le bestie nelle stalle impazziscono, le urla, il pianto e i lamenti delle donne e dei bambini si mischiano alle imprecazioni degli aggressori. Vengono ripetutamente percosse le persone e razziate le case, asportando oggetti, viveri, biancheria, tutto.
Nei mesi di novembre e dicembre le indagini, condotte anche con il duro interrogatorio di persone di Valaperta presso la sede della Brigata Nera di Merate, portarono alla cattura di alcune persone. Ai primi di gennaio del 1945, la Brigata Nera di Missaglia viene incaricata di reperire un autocarro con cui portare alla camera mortuaria di Casatenovo quatto bare da utilizzare per quattro partigiani, ritenuti colpevoli dell’uccisione del Chiarelli, già arrestati e che saranno fucilati, senza processo, il 3 successivo. Sono Natale Beretta di Arcore, anni 25; Nazzaro Vitale di Bellano, anni 24; Mario Villa di Biassono, anni 23; Gabriele Colombo di Arcore, anni 22. Pochi giorni dopo, il 13 di gennaio, i fascisti riuscirono ad individuare, grazie ad una spia, il luogo dove si erano rifugiati Mario Ferrario e Angelo Farina la cui presenza era stata segnalata a Valaperta il 23 ottobre. In ottanta accerchiarono la capanna dove si trovavano, nel territorio di Eupilio, presso Erba, e dopo un conflitto a fuoco durato circa due ore, i due partigiani furono uccisi.
Per i fatti di Valaperta vi fu un processo, nel 1947, nel quale i principali responsabili furono chiamati a rispondere di 12 capi di imputazione tra cui, oltre le fucilazioni, rappresaglia e saccheggio, sevizie e rastrellamenti, estorsioni. La Corte decise che queste imputazioni, per quanto in parte accertate e in parte derubricate, non erano ostative alla concessione dell’amnistia che venne riconosciuta a tutti gli imputati. Nessuno quindi ha pagato per la barbarie, se non nell’intimo della propria coscienza, per chi ne conservava una. (Tratto dal volume “Di generazione in generazione – Valaperta e Rimoldo – Origini Storia Cultura Tradizioni” a cura della Parrocchia San Carlo).
Dalla testimonianza di Anna Mandelli.
“In quei giorni i fascisti davano la caccia ai partigiani, mio fratello Berto che faceva parte come molti altri ragazzi di Arcore della squadra di Centemero Giuseppe, per paura di essere catturato non tornava più a casa nostra, ma viveva e dormiva nella soffitta di mia nonna.
Solo noi e i suoi compagni partigiani sapevamo dove trovarlo.
Una mattina Colombo Gabriele e Beretta Natale si presentarono con dei ragazzi sconosciuti a casa di mia nonna e dissero a Berto di seguirli perchè questi “amici” avevano bisogno……., mio fratello non era molto convito, perchè non si fidava di chi non conosceva, ma li seguì comunque.
Durante la strada che portava verso casa di Beretta Natale, gli spiegarono che quei ragazzi erano dei partigiani venuti in pianura a prendere le armi.
Quando arrivarono a Casa di Natale quest’ultimo tirò fuori dal nascondiglio le armi, ma appena le appoggiò sul tavolo i ragazzi sconosciuti estrassero le pistole e dissero di essere fascisti.
Gli arrestarono e li portarono tutti e tre al carcere di Merate.
Il giorno dopo io e la fidanzata di Gabriele, di cui non ricordo il nome, ci recammo in bicicletta al carcere. Nevicava e per strada c’era la neve alta, la disperazione ci dava la forza di pedalare e di andare avanti perchè volevamo vedere come stavano, portammo loro un po’ di cafè e qualcosa da mangiare.
Quando ci portarono in un locale del carcere per incontrarli, quello che vedemmo ci lasciò senza parole. Mio fratello Berto era quello messo meglio con qualche livido in faccia, ma Gabriele e Natale erano una maschera di sangue, avevano gli occhi tumefatti e lividi su tutto il corpo.
Le loro mani tremavano tanto da non riuscire a tenere in mano il bicchiere di cafè, facevano fatica a parlare e addirittura Gabriele quando bevve non riuscì a trattenere il liquido e gli uscì tutto il cafè dagli angoli della bocca.
Io e la ragazza di Gabriele cercammo di fargli forza, anzi arrivammo a suggerire loro di scappare, tanto fuori a fare la guardia (visto che erano giorni di festa) c’era solo un ragazzino di 16-17 anni che con una botta sulla testa avrebbero messo fuori combattimento.
Natale però ci disse che non avevano niente da temere perchè non erano stati loro ad ammazzare il fascista e che una volta verificato che non centravano niente gli avrebbero rilasciati.
I fascisti però non erano dello stesso avviso ed alcuni giorni dopo ci arrivò la notizia della loro condanna a morte.
I miei genitori e i genitori di Gabriele e Natale mi mandarono a Lomagna dal Comandante del Distaccamento della Brigata Nera, Ing. Emilio Formigoni.
Eravamo tutte famiglie povere ma nonostante tutto mi diedero viveri e regali da portare a Formigoni per poter salvare i figli da morte sicura, il papà di Natale che macellava carne mi diede addirittura un pollo, che per quei tempi era un lusso.
Arrivata a casa di Formigoni mi venne ad aprire uno della servitù, mi disse di aspettare lì fuori che andava a chiamare il comandante.
Formigoni arrivò dopo alcuni minuti, non mi fece entrare e mi chiese cosa volessi, dissi lui che ero venuta a chiedere clemenza per i ragazzi arrestati ad Arcore, gli dissi che erano dei giovani ignoranti che non avrebbero mai fatto del male a nessuno ne tanto meno ucciso qualcuno.
Lui mi lasciò parlare, ma poi con disprezzo mi disse che Roberto Mandelli era uno stupidino che frequentava persone sbagliate e che non riuscendolo a collocare nella vicenda e soprattutto non avendo prove che effettivamente era un partigiano lo avrebbero rilasciato. Tirai un sospiro di sollievo per mio fratello, ma la gioia durò molto poco perchè per Natale e Gabriele mi ribadì che sarebbero morti fucilati in quanto assassini del milite fascista Gaetano Chiarelli e perchè addirittura Natale Beretta aveva confessato di essere il comandante della 104° Sap. Sapevo che non era vero e che la 104° era guidata da Centemero Giuseppe, non seppi mai se Natale avesse confessato veramente quelle cose o se le avesse dette per la disperazione delle torture subite.
Il 3 gennaio ci arrivò la notizia della morte di Gabriele e Natale uccisi insieme ad altri due partigiani Vitali Nazzaro di Bellano e Villa Mario di Biassono.
Andai a Valaperta e la scena che vidi fu straziante, i genitori vicini ai corpi dei figli trivellati di colpi.
La mamma di Natale gli parlava come se lui fosse ancora vivo gli diceva “Talen nem, nem a cà” (Natale andiamo a casa).
Mi avvicinai e vidi che aveva addirittura le gambe spezzate perchè essendo molto grosso e alto non ci stava nella bara.
Solo qualche tempo dopo da testimonianze di chi era presente all’esecuzione, seppi che addirittura Natale non morì subito con la prima scarica di pallottole, ma riuscì a voltarsi verso i suoi aguzzini e gli supplico di sparargli ancora contro se volevano, ma di non ucciderlo.
Non potrò mai dimenticare tutto quello che ho vissuto in quei giorni, non potrò mai dimenticarmi di Gabriele e Natale e la cosa che mi fa più male è sapere che chi ha ucciso questi ragazzi innocenti ha vissuto la sua vita senza mai pentirsi di quello che aveva fatto.”
Dichiarazioni di due testimoni oculari, rese a poca distanza dai giorni dell’eccidio di Valaperta.
La prima è di Gennaro Firmiani, Commissario Prefettizio di Casatenovo, il quale il 26 ottobre 1945 firma la seguente dichiarazione: “Il giorno 3 gennaio 1945 dovetti recarmi a Valleaperta quale Commissario Prefettizio della zona di Casatenovo, perentoriamente chiamato dall’ingegner Formigoni Emilio, comandante delle BB nere. Per la fucilazione di ostaggi. Io vidi Formigoni Emilio, Miglioli, Bonvecchio, non so se erano presenti Beretta Antonio e Remigi perché io ero agitato confuso e sgomentato di dover assistere a tanta barbarie.”
La seconda è di Guerrino Della Morte, medico condotto di Valaperta, il quale il 22 novembre 1945 firma la seguente dichiarazione: “ Verso le 10.30 del 3.1.1945 venne per ordine del Commissario Prefettizio di Casatenovo Sig. Gennaro Firmiani, dicendomi di recarmi a Valleaperta ove era necessaria la mia presenza. Colà giunto trovai 2 sacerdoti Don Carlo Sala e il suo coadiutore. Dall’abitato di Valleaperta usciva il BB nero sig. Bonvecchio Giacomo, un sottotenente giovanissimo e due militari, arrivarono poi una o due motociclette, un motofurgone, una o due automobili e un camioncino. Dalle macchine scesero varie persone quasi tutti in borghese armati di mitra, sul camioncino stavano 4 partigiani che dovevano essere fucilati, notai sul loro viso atroci sofferenze. Sopraggiunto il Commissario Prefettizio il quale era allibito di dover assistere, ma gli fu imposto di restare. Giunti sul posto prescelto i 4 partigiani furono spinti oltre la curva e scomparvero alla mia vista. Il plotone di esecuzione era composto di 4 persone: erano presenti Ing.Emilio Formigoni, Raul Remigi, Achille Miglioli maestro elementare, forse Parmiani e una persona piccola di 35/40 anni , chi sparò era in borghese. Dietro il plotone di esecuzione vi era il brigadiere Bonvecchio. Sentii sparare. Vi era una persona sui 45 anni di media statura con un impermeabile grigio che incitava a mirare nel segno perché alcuni di questi erano riluttanti e sdegnati per quanto stavano per fare. Il Vitali Nazzaro presentava evidenti segni di gravi sevizie subite in precedenza, gli mancavano quasi tutti i denti, due erano morti subito. Colombo e Beretta da Arcore furono ripetutamente colpiti col mitra e con rivoltella. Constatata la morte, segnai i nomi dei caduti, composi le membra straziate per quel tanto che permisero il mio spirito scosso e la mia mente inebetita per tanta barbarie.”
fonte ANPI
http://www.anpiarcore.it/pagine/resistenti/colomboberetta.php