Roberto Pennasi racconta l’USBEKISTAN (2^ parte)

images21/04/2013 Strada per Bukhara
Ormai è deserto continuo. Roccioso, sabbioso, ventoso con pochi cespugli e piccoli ciuffi di erba disseminati. Il sole è a picco, ma il caldo è attenuato da un vento radente, a tratti scuotente che quasi dà un brivido. Lo stop per il “bagno” diventa ricerca di un punto non solo al riparo della vista, ma anche di un giusto acquattarsi senza andar contro vento.
Si giunge al confine con il Turkmenistan con folate di vento continue. Si pranza al cartoccio e con lo spiedino locale, sotto un telo che a stento protegge dall’acqua. Le dune ai lati invadono in parte la strada e sono screziate dal vento, o rugose su in cima per piccoli o grossi detriti sassosi portati nel tempo. I cespugli sono spesso spinosi e là in fondo c’è un verde creato dall’umido di primavera e diffuso come barba sottile. E’ superficiale e scomparirà sotto il caldo del sole d’estate. Palle brunastre seccate e portate dal vento in deserto che cambia di aspetto con radi cespugli, con piccole piante e con prati e sabbie variabili. Poi grandi estensioni a fitti cespugli, improvvise radure e piccole case con porte e finestre mancanti. In seguito è steppa con una intensa pellicola verde sul largo terreno.
Si arriva a Bukhara in tardo meriggio e, dopo la sosta in hotel, la visita in splendida casa di ebrei emigrati, all’interno di un quartiere antico e a prima vista povero con molte case e muri di terra. E lì in grande stanzone, seduti, c’è mostra di grandi tappeti e tessuti di varia fattezza, colori, disegni. E son lavorati in modo diverso, in tempi diversi, con costi diversi.
Si cena in hotel con cibi che son ricercati e strani per noi. Ma è il gusto che vien soprattutto a mancare. Suppliamo con gran chiacchierare in distesa allegria.
22/04/2013 Bukhara ore 23
Ora ho in mente un veloce e confuso passare tra belle, diverse e composte strutture. Ricordo profili rotondi con punte all’insù e gran suggestione di immagini in grandi frontoni. Un lungo girare in luoghi che ovunque si aprono e pare dilatino insieme il tempo e gli spazi. E? un vivere sospesi talvolta nel sole, più spesso nel vento.
Il gran mausoleo a forma quadrata è senza decoro a colori. Ma il roseo mattone che sfuma nel grigio crea suggestioni visive, per grande ricchezza di intrecci. C’è in fondo una grande fortezza con dei contrafforti possenti che, diversi sui lati, ti pare che sfumino l’uno nell’altro e che quasi non giungano a fine. C’è dentro un museo di foto, di libri, di armi, di costumi, e tra loro un dipinto di Avicenna, o meglio Abū ʿAlī al-Ḥusayn ibn ʿAbd Allāh ibn Sīnā, nato in un piccolo paese alle porte di Bukhara, filosofo, matematico, fisico ma soprattutto medico innovatore della medicina antica, partendo dalla grande tradizione dei greci.
E poi il susseguirsi di grandi Moschee e di Madrasse di vario formato, colore e ricchezza di arredo e di costruzione. Il bazar coperto ed il museo dei tappeti riempiono gli spazi del centro. Si pranza in casa ospitante con brodi con dentro polenta e cibi di varia natura.
La grande moschea e il bel minareto Kalon con le quattro guglie rotonde nei caldi colori del bel pomeriggio. C’è tempo per dare un’occhiata al posto che fan burattini. Ma qui a sorpresa sediamo e poi saltan fuori due legni dipinti a immagini d’uomini che sono nel gruppo: E uno son io. Mi alzo e , tenendolo a fianco del viso saluto i compagni di viaggio.
C’è un’aria festosa nel caldo meriggio ed i grandi spazi, talvolta con piccoli laghi, sono punto di incontro di gente, che stando seduta al bar e all’intorno, si gode le ore più belle.
La sera si cena all’aperto in un grande cortile. Si accede da porta di antico palazzo, che poi viene chiusa. Il cibo, la danza e poi la sfilata elegante, ma sobria, con donne sottili, ma più sorridenti che altrove e vestiti che da tradizionali via via diventano più vicini a noi.
23/04/2013 In viaggio per Samarcanda
Si parte di buon mattino verso quella che da sempre è la favolosa Samarcanda. La sosta a Shahrisabz, città natale di Tamerlano, ci sembra quasi solo un atto dovuto all’uomo tanto discusso finora. Ma subito i resti del Palazzo d’Estate, pur molto ridotti, stupiscono per grandiosità. I ruderi del grande portale con i laterali rivestiti da decorazioni smaltate in oro, in blu e in verde hanno una magnificenza mozzafiato e il passargli accanto dà quasi una vertigine da altezza ed una percezione potente grandezza che viene dal passato.
Più in là, la statua sembra rifulgere ancora di immanente presenza nella sua diritta verticalità e nell’atteggiamento sovrano del Khan con la testa di poco girata d’un lato, come a guardare lontano, quasi disdegnando il presente.
E ancora la Moschea e il mausoleo di due figli, sul quale svetta la torre del prediletto nipote Jahangir. Ora continua il viaggio con il passaggio vario a volte bucolico dove domina il verde, con tanti animali e poche presenze umane. Si pranza sotto un portico con uno stridulo uccello che canta per tutto il tempo. Poi un tratto di collina con un piccolo passo. Si fa una fermata in casa di contadini con Kilim esposti ed una ragazza che, con un forno a legna, colora la lana. Il luogo, i gesti mi fanno pensare a lontani riti.
Intorno, un po’ ovunque ci sono papaveri rossi con macchie di nero, a cespuglio. Grandi pascoli e mucche con uomini a piedi e a cavallo in dolci ripiani. Due cani che giocano correndosi intorno su in fattoria nel crinale. Si vedono spesso bimbi e ragazzi con vesti dai forti colori. Poi un lungo tratto con coltivazioni estensive e case sparse un po’ dovunque.
Si cena a Samarcanda sul tardi.
Roberto Pennasi