Una riflessione dopo il sabato di sangue a Niguarda

Alle famiglie di Alessandro Carolé, Daniele Carella e Ermanno Masini uccisi sabato mattina a Milano e alla loro memoria dobbiamo non solo vicinanza, affetto e solidarietà ma anche il rispetto per una tragedia umana che non può e non deve essere né strumentalizzata né sfruttata per la battaglia politica. Alla stessa comunità del quartiere di Niguarda, sconvolta da quanto è avvenuto e che sta vivendo con compostezza questo dolore, la politica e le istituzioni devono mostrare la responsabilità di aprire una riflessione che dia risposte concrete alle paure e alle insicurezze che vicende come questa fanno emergere. Non fa il proprio dovere, non dimostra responsabilità né senso delle istituzioni chi pensa – ed in questi giorniha, purtroppo, scelto di fare – di una enorme e imprevedibile tragedia segnata dalla follia uno strumento di battaglia politica per cercare di guadagnare qualche consenso speculando sul dolore e sulla rabbia dei cittadini, indicando capri espiatori e cercando di far ricadere sulle spalle di chi è immigrato e di chi lavora per l’integrazione il gesto di un pazzo. Agendo in questo modo si alimenta solo l’intolleranza e si produce ulteriore insicurezza, si mostra il volto di una politica che divide mentre dovrebbe unirsi per dare ai cittadini il senso che la sicurezza è un obbiettivo condiviso da tutti e che è un diritto per cui ci battiamo senza distinzioni. Dobbiamo, infatti, rassicurare dicendo con forza che non esiste una sicurezza di destra o di sinistra ma che questa è un diritto fondamentale dei cittadini per cui siamo tutti impegnati e dobbiamo dimostrare che la politica è in grado di tornare a pensare ai bisogni concreti per risolverli e non per alimentare continuamente protagonismi e divisioni.
Gli omicidi di Sabato a Milano, certamente, pongono alcune questioni: non può bastare né una riflessione astratta che non provi a prevenire fatti come questi, che purtroppo diventano sempre più frequenti a prescindere dal colore della pelle di chi li compie, né può essere sufficiente una discussione autoassolutoria che si limiti a dichiarare l’imprevedibilita di un raptus di follia. Tra queste questioni, tuttavia, non ci sono né lo ius soli né la lotta alla clandestinità, perché il folle assassino non era clandestinamente nel nostro Paese e tanto meno quel gesto ha a che fare con il lavoro del ministro Kienge (a cui va tutta la nostra solidarietà per gli attacchi inaccettabili di cui è quotidianamente fatta oggetto).. Tra le tante questioni che si aggiungono al tema della prevenzione dei reati e della sicurezza nelle città, ne vorrei brevemente sottolineare due. La prima riguarda l’evidenza di ripensare la gestione della situazione dei profughi e dei richiedenti asilo. A fine febbraio, finita l’emergenza, migliaia di profughi e richiedenti asilo -dopo essere stati aiutati e assistiti, grazie anche al lavoro di centinaia di organizzazioni umanitarie e di volontariato – si sono ritrovati in strada, senza punti di riferimento e senza strumenti di orientamento, a volteanche senza casa e lavoro e senza percorsi di integrazione. In questo contesto si definisce la cornice della storia dell’assassino, con l’aggravante che lo stesso si era precedentemente già reso responsabile di reati. Si deve porre, quindi, il tema di come evitare che situazioni come questa possano ripetersi e di prevenirlefacendo in modo che i richiedenti asilo non vengano abbandonati a se stessi senza alcun riferimento e senza alcun controllo, tanto più se già segnalatisi per fatti illeciti.
Infine, credo che tutti noi abbiamo la responsabilità di guardare con preoccupazione ad un altro dato, a mio avviso sconvolgente, che questo dramma ci ha messo di fronte: se in un quartiere aggregato e ricco di esperienze sociali come quello di Niguarda, per quasi due ore una persona visibilmente alterata può aggirarsi aggredendo i passanti senza che alcuno denunci nulla, senza che nessuno chiami il 112 o il 113, deve suonare un campanello di allarme. Sarà l’inchiesta a decidere se ci sono responsabilità del posto di guardia dell’ospedale di Niguarda per non aver segnalato i fatti quando si è presentata la prima vittima dell’aggressione ma resta forte la sensazione che, in questo tempo di crisi, stiano venendo meno principi di solidarietà e prevalgano l’istinto di rinchiudersi ognuno nel proprio personale recinto e di pensare a salvare se stessi. E soprattutto, anche da questi fatti, emerge una preoccupante assenza di punti di riferimento credibili, una crescente sfiducia nelle istituzioni che spetta prima di tutto a noi contrastare con una politica che dimostri di occuparsi del Paese e delle persone e non dei propri interessi di parte.
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