Una legge di stabilità che stabilizza il disastro

di Luigi Vinci. Meta verità sulla realtà del governo Letta è arrivato: la metà cartacea contenente la proposta in fatto di “legge di stabilità”, cioè di legge finanziaria per il 2014 (ma con elementi che guardano anche ai due anni successivi). L’altra metà della verità arriverà entro fine anno, nella forma del proseguimento della crisi della nostra economia, del salto in su della disoccupazione, del massacro dei precari della pubblica amministrazione, dell’immiserimento ulteriore di pensionati e lavoratori pubblici e privati, delle tasse che cambiano solo nome (anzi che a livello
locale aumenteranno), della presa per i fondelli del cosiddetto allentamento degli impedimenti ai comuni a spendere, della presa per i fondelli della cosiddetta riduzione del “cuneo fiscale”, ecc. Si tratta della metà, in altre parole, determinata
dall’ossequio servile nei confronti delle insensatezze autoritarie della Commissione
europea, dalla fede cieca, maniacale, nelle insensatezze imposte dalla destra tedesca (certo non alla Germania) in fatto di deficit pubblico sotto il 3%, dall’odio cieco di un intero ceto politico di governo nei confronti del Pubblico in economia (unico strumento reale per l’effettiva sua ripresa), dalla menzogna ignobile
di questo ceto politico che dichiara che in Italia “non ci sono i soldi”.
Il pubblico impiego subisce dunque l’ennesima massacrata, con la continuazione del
blocco dei rinnovi contrattuali, quindi con la continuazione della caduta retributiva, il rinvio ulteriore del trattamento di fine lavoro, la riduzione degli organici, ecc. La massa dei pensionati continuerà a vedere abbattuto (pardon: “limato”) il potere di acquisto delle loro pensioni: in quanto le rivalutazioni, anche quando al cosiddetto 100%, in realtà non coprono i rincari veri dei generi di consumo correnti, la cui inflazione è superiore alla media. Non solo: 6 milioni di pensionati, percettori di pensioni lorde dai 1.500 ai 2.500 euro mensili, le vedranno rivalutate
solo in parte, mentre alle pensioni d’oro (superiori ai 100 mila euro lordi mensili) verrà chiesto un “contributo solidaristico” ridicolo.
L’Imu è stata cancellata, ma solo nel vocabolario: sarà sostituita da una tassa che a definire saranno i comuni (non in grado di spendere, se non spiccioli, anche quando abbiano i soldi). Inoltre questa tassa verrà assommata a quella sui rifiuti e sui servizi indivisibili. E’ facile capire come quasi ovunque questa
parte della tassazione aumenterà. Il “cuneo fiscale” risulta ridotto in valore,
nel suo complesso, per 2,5 miliardi: sindacati e Confindustria stessa avevano calcolato che perché la riduzione fosse significativa dal punto di vista di retribuzioni, investimenti e quindi ripresa dell’economia occorreva che
fosse di almeno 10 miliardi. I soldi messi lì per cassa integrazione in deroga
non bastano, i portatori di gravi menomazioni vedranno ridotti gli ausili, ecc. ecc.
Naturalmente, nello stile attivistico tipico del capo del governo e del suo linguaggio tipo campagna Palmolive, tutto quanto è annegato in una miriade di dettagli e di operazioni aggiuntive o di ritocco microscopiche. L’impressione che si vuole dare è evidentemente di un governo che si affanna in tutti i modi ad alleviare
la sofferenza delle classi popolari, avvicinare la ripresa, produrre occupazione (chissà perché solo “giovanile”: e le donne? e i cinquantenni senza lavoro e che andranno in pensione a 70 anni?). Del genere, dunque: il malato ha il cancro ma stiamo facendo di tutto per salvarlo, abbiamo infatti deciso di dargli l’aspirina, l’ansiolitico, l’Alka-Seltzer, il Tavor, il callifugo, la pomata contro i foruncoli,
la lozione contro la caduta dei capelli, e naturalmente stiamo studiando ulteriori provvedimenti. La cosa che fa più schifo di tutte è il fatto che i mezzi finanziari per una svolta di politica economica e fiscale che restituisca potere di
acquisto alle retribuzioni e alle pensioni e faccia ripartire l’economia ci sono, anzi sovrabbondano. Né si tratta solo della ricchezza privata, solo sfiorata dalle misure di questo governo, come di tutti quelli che lo hanno preceduto, tecnici, di centro-sinistra, centro-destra, centro-sinistra-destra, centrodestra- sinistra (si noti come il “centro” in ogni caso c’è sempre: ovvero come in realtà questo Paese sia da un pezzo governato da una sorta di partito unico bipolare, ovviamente rissosissimo,
per far intendere che in realtà c’è confronto tra posizioni politiche sostanzialmente
diverse). Giova sottolineare, in ultimo, la comparsa finalmente dentro all’orizzonte governativo degli eventi di Cassa Depositi e Prestiti: banca pubblica (nella quale
cioè il Tesoro, ovvero lo Stato, detiene una larga maggioranza proprietaria, mentre il resto appartiene a 65 casse di risparmio) le cui liquidità e i cui asset proprietari di varia natura sono dell’ordine di almeno 430 miliardi. Data
l’impossibilità stessa di prosecuzione della campagna Palmolive, il governo Letta ha dovuto attingere qualche spicciolo, destinandolo a tappare le voragini finanziarie
determinate dalle gestioni, insensate o delinquenziali, di quei privati a cui furono a suo tempo svenduti pezzi fondamentali dell’economia pubblica italiana. Naturalmente i gestori di Cassa Depositi e Prestiti (l’amministratore delegato Gorno Tempini e
il presidente Bassanini) hanno protestato: come osa il governo infrangere il tabù che
vuole che l’impresa pubblica sia gestita dal suo consiglio di amministrazione non solo in totale autonomia ma con i criteri finanziari speculativi, cioè volti alla massimizzazione in via immediata degli utili, delle grandi banche private,
come da manuali liberisti (del genere di quelli di due degli economisti recentemente
gratificati del premio Nobel: tanto per far capire al mondo quali interessi debbono continuare a comandare)? A che è servito trasformare a suo tempo Cassa Depositi e Prestiti da ente pubblico a società per azioni? Si badi: il Tesoro, come proprietà maggioritaria, ha pieno diritto di decidere cosa debba fare il consiglio di amministrazione, e quest’ultimo ha il dovere imperativo di usare poi tutti i suoi
poteri nel quadro tassativo, però, della decisione del Tesoro: quindi, in breve, se il governo si è preso qualche spicciolo è semplicemente perché condivide il punto di
vista dei gestori di Cassa Depositi e Prestiti. E però il fatto stesso di questo prelievo di spiccioli è la conferma di come i soldi in Italia ci siano, e tantissimi, e di come sia facoltà di governo usarli o non usarli. Quindi questo
fatto prova la menzogna, violentemente antisociale, e solo per questa ragione antieconomica, dei governi che si sono succeduti nella crisi. E prova, di conseguenza, che la possibilità l’Italia di un’altra linea di politica economica
(e sociale) esiste, è concreta. Sicché, se si capisce perché un intero ceto politico di governo si muove come si muove (essendo liberista, cioè legato agli interessi, compresi i più brutali, delle classi ricche), meno si capisce perché i
critici della politica del governo Letta si limitino alla rivendicazione di obiettivi particolari e siano invece vaghi sui contenuti di un’altra
politica. Perché parlare, su questo terreno, solo di tasse? C’è bisogno in Italia non genericamente di più opposizione, politica e sociale, ma prima di tutto di una sua migliore qualità. E non basta più limitarsi a dirlo, ma bisogna che chi queste cose capisce cominci a creare questo tipo di opposizione, prima di tutto in sede politica,
coinvolgendo in ciò, in primo luogo, il mondo del lavoro.