Il 26 giugno si celebra la giornata mondiale contro la tortura e di sostegno alle vittime.
Metà della popolazione mondiale vive in paesi che praticano la tortura. E un rifugiato su quattro ha personalmente subito esperienze di tortura. L’Italia non sa condannarla (come dimostrano i fatti di Genova del 2001), perché non ha ancora introdotto nel proprio codice penale il reato di tortura. Il 26 giugno è la Giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura e una serie di appuntamenti aiutano a rompere il silenzio che circonda le sue vittime.
I processi sugli abusi delle forze dell’ordine a Genova durante il G8 hanno dimostrato quanto la mancanza di un reato specifico non consenta una risposta e una sanzione adeguata verso una forma di violenza che non si limita a infliggere sofferenze fisiche ma che più radicalmente nega la dignità umana della vittima.
Il contesto internazionale di comprensibile preoccupazione per il terrorismo può diventare un alibi inaccettabile verso forme di sospensione dei diritti fondamentali, rischiando così di sacrificare i nostri principi sull’altare di presunte finalità superiori.
La sensibilità culturale, e la consapevolezza diffusa dei diritti fondamentali sono l’unico vero antidoto (insieme a un ordinamento in cui le istituzioni sappiano avere la fiducia dei cittadini tramite l’autorevolezza e non solo l’autorità), tuttavia è urgente che l’Italia si adegui ai più avanzati standard internazionali prevedendo un reato specifico oltre che mettendo in campo tutta una serie di misura di prevenzione che la dichiarazione di Milano-Bicocca indica puntualmente.
“Chi è stato torturato rimane torturato. […] Chi ha subito il tormento non potrà più ambientarsi nel mondo, l’abominio dell’annullamento non si estingue mai. La fiducia nell’umanità, già incrinata dal primo schiaffo sul viso, demolita poi dalla tortura, non si riacquista più.” (Jean Améry)
di Marco Imperato