Nel 2003 mentre con mio marito Luigi Vinci (allora capogruppo del PRC al parlamento europeo) seguivo il processo a Leyla Zana abbiamo
conosciuto Selahattin Demirtas, leader oggi del partito curdo Hdp. Selahattin Demirtas faceva parte del collegio di difesa di Leyla Zana e degli altri tre deputati in carcere da 10 anni. Lo andammo a trovare a Diyarbakir alla sede dell’ Associazione per i diritti umani, di cui era responsabile nazionale (se non ricordo male c’erano anche Emilio e Tina Molinari). Nell’ufficio in cui ci ricevette erano appesi 16 quadri con le fotografie dei responsabili nazionali dell’Associazione per i diritti umani prima di lui, tutti erano stati assassinati. Allora aveva 30 anni, impegnato a difendere i poveri cristi curdi dagli abusi di poliziotti e magistrati, lui stesso aveva già fatto qualche anno di carcere perché difendeva queste persone, si usa così in Turchia.
Pensate che sul Corriere della sera di ieri in un articolo scritto da una
giornalista, che ha votato per l’HDP, del quotidiano turco Hurriyet (Emel
Armutcue, tra le promotrici del telefono rosa per donne e bambini
maltrattati ) sta scritto che “la scorsa settimana una donna è stata
condannata in tribunale per danni al marito che, picchiandola, si era fatto male a una mano”. Potrei scrivere pagine sulla violazione dei diritti umani in Turchia. Comunque a Demirtas, che già viene chiamato l’Obama della Turchia, facciamo tanti auguri, e lo ringraziamo anche per il contributo che i curdi hanno dato e stanno dando alla lotta contro l’ISIS, mentre Erdogan di notte li fornisce di armi e la Turchia è il primo acquirente di petrolio venduto dall’ISIS. Non aggiungo altro.
Silvana Barbieri