Con un articolo apparso su Repubblica, critico su Renzi e la minoranza Pd incapace di incalzarlo a dovere sulle riforme costituzionali, Alfredo Reichlin ha un po’ riscattato l’onore politico degli antichi scolari di Togliatti. Tranne Aldo Tortorella (che però è più legato a Luigi Longo che al Migliore e quali referenti culturali ha il razionalismo critico di Antonio Banfi e non lo storicismo), nessuno tra gli eredi di Togliatti (cioè la più preparata generazione politica della Repubblica) aveva preso una netta posizione critica nei confronti di Renzi.
Persino Macaluso esita a tirare le conseguenze logiche della sua riflessione sempre penetrante sulla fase politica. Egli pensa che il problema cruciale sia «la pochezza della classe dirigente di cui si è circondato» il presidente del consiglio. Che si tratti di personalità dallo scarso profilo politico e dalla inesistente attitudine istituzionale, nessun dubbio. Ma come poteva un leader mediocre, e privo di esperienza di governo egli stesso, selezionare un ceto politico di qualità?
Macaluso è troppo acuto per non comprendere che il suo dipingere un Renzi come capo discutibile che però non ha rivali non è un semplice giudizio di fatto, ma un attestato di valore che celebra come immutabile l’esistente e condanna all’oblio i tentativi di reagire alla decadenza. È però soprattutto Napolitano che sorprende nella totale adesione allo stil nuovo del renzismo in ragione del quale ha sposato persino l’illiberale piglio governativo in materia di riforma costituzionale.
Sarà per la profondità dei fondamenti culturali del decisionismo, che il ministro Boschi ha così esplicitato: Renzi è un politico decisionista perché «è stato arbitro nel calcio. Come arbitro si è abituati a prendere velocemente decisioni». Dinanzi all’arbitro della Costituzione non si può restare indifferenti. Sarà per l’aulico linguaggio istituzionale dell’inquilino di Palazzo Chigi («noi mettiamo lo streaming anche quando andiamo in bagno»).
O sarà per la solidità del sapere economico del premier («Ieri, uscito dalla messa, mi sono fermato a parlare con il mio amico Gilberto, commercialista. ‘Matteo, che soddisfazione. Ieri ho fatto vedere a alcuni clienti quanto risparmiano di Irap. Non ci credevano!’»): quel che resta è il sostegno di Napolitano al plebiscito per l’uomo della provvidenza.
Che di un referendum come evento mistico si tratti l’ha ribadito ancora l’altro giorno Renzi: «Il sì o il no alla riforma non è un sì o un no tecnico. È un passaggio epocale». Rimane un impenetrabile mistero della fede a spingere Napolitano, cioè il politico più longevo della “casta”, a prestare soccorso al premier che proprio a ottobre intende castigare la casta («Ogni giorno che passa diventa più chiaro: il referendum di ottobre sarà su argomenti molto semplici. Se vince il Sì diminuiscono le poltrone; se vince il No restiamo con il Parlamento più numeroso e più costoso dell’Occidente»).
La sinistra, dagli allievi di Togliatti ancora in giro alle sue fondazioni culturali (con Beppe Vacca che formula una linea genealogica creativa dichiarandosi renziano, e forte sostenitore delle riforme costituzionali, proprio in quanto comunista togliattiano e gramsciano), dagli eredi di Amendola ai turchi più o meno giovani, insomma dirigenti di diverse generazioni, è afona e irrilevante. Ciò perché gran parte del suo ceto politico e intellettuale è rimasto travolto da un crollo di cultura politica e ha interpretato il renzismo come un fenomeno di lungo periodo. E, senza più alcun pensiero politico, ha sgomitato per acconciarsi sul carro del rottamatore per contrattare margini personali di sopravvivenza.
Merito di Reichlin è di aver dato un primo segnale di reazione. E Bersani ha rilanciato la sfida sostenendo la piena legittimità di comitati per il no promossi dal Pd. Questa è la strada migliore. La sinistra Pd è un danno in potenza ogni volta che si muove in cerca di mediazione. In nome del miglioramento delle leggi ha contribuito a stravolgere la Costituzione e il diritto del lavoro. Se non ha il fegato per emendare proprie colpe e aprire comitati per il no, almeno non intraprenda quelle operazioni di scambio che finiscono per edificare mostri.
Il problema principale oggi non è, infatti, l’elettività del senato ristretto e privato del voto di fiducia. E quindi la minoranza non si agiti inutilmente per strappare impegni sui modi di designazione dei dopolavoristi e poi consegnarsi a un Renzi ringalluzzito per la legittimazione delle sue pratiche illiberali ricevuta dai nemici interni. Il nodo è la legge elettorale. Rimuova lo scempio dell’Italicum e i senatori, il governo, li può pure ricavare in blocco dai consigli comunali di Rignano, di Montelupo Fiorentino, di Campi Bisenzio o Laterina. Elimini il premio di maggioranza e i senatori a vita per alti meriti verso la Repubblica il governo può pure indurre il Quirinale a sceglierli tra i banchieri dell’Etruria o del Credito fiorentino.
L’atmosfera miracolistica creata attorno a un leader senza retroterra, che non può perdere il referendum altrimenti sul paese si abbatte il diluvio, la dice lunga sulla decadenza politica e culturale della repubblica. Tutti gli argomenti che suonano sul tasto: Renzi è una nullità ma non ci sono alternative non sono prove a sostegno di Renzi. Sono piuttosto una conferma della crisi della democrazia di cui lo statista di Rignano è un’espressione crepuscolare, non certo la terapia.
L’alternativa a Renzi? La Costituzione, bene da non disperdere nella sua normatività che esclude ogni uso partigiano di una maggioranza governativa. Che la sinistra del Pd apra dei comitati per il no all’occasionalismo costituzionale è il minimo che possa fare.