Gli Usa affrontano il mondo all’Onu dopo che Trump ha dichiarato che Gerusalemme è la capitale d’Israele. Così, tanto per tenere il mondo sulla corda, per non farlo adagiare nella vana illusione che una conciliazione, magari in un futuro remoto, sia possibile.
A favore nell’Assemblea votano in 9. Oltre a Usa e Israele, paesi, con rispetto parlando, non di primissimo piano sullo scacchiere internazionale come il Togo, la Micronesia, le Isole Marshall, Nauru, Palau. Contro, in 128, praticamente tutto il resto del mondo, tranne i 35 astenuti. Tra questi, per carità di (altrui) patria, ci sono alleati eterni e inossidabili come Australia e Canada che, stavolta, proprio non se la sono sentita. Non so se gli Stati Uniti abbiano mai subito in una sede analoga una disfatta tanto rovinosa e cocente. Nikky Haley, ambasciatrice statunitense all’Onu, non l’ha presa bene e ha minacciato 128 (o 163) Paesi, ammonendo che gli Usa ricorderanno i nomi (sarà una lunga lista da tenere a mente) di chi ha votato contro, mancando di rispetto, chissà perché ai gloriosi Stati Uniti. Proprio a loro, che sono tra i maggiori finanziatori dell’Onu. Della serie, chi paga decide. Gli altri dietro come cani a fiutare l’osso….
Pochi giorni prima, una notizia ancora più allarmante… Sicuramente ci sono decisioni più drammatiche, che mettono in gioco la vita e il destino di milioni di persone, ma qui mi sembra che a essere messa a rischio sia la salute e l’integrità mentale dell’umanità.
Qualche giorno fa il Washington Post ha riportato che un rappresentante dell’amministrazione Trump ha comunicato ai membri del Centers for Disease Control and Prevention che alcuni termini non avrebbero potuto più essere usati nei documenti ufficiali. Sette parole, per la precisione (tanto per cominciare?): vulnerable, entitlement, diversity, transgender, fetus, evidence-based e scienca-based. E cioè vulnerabile, diritto, diversità, trangender, feto, basato sui fatti, basato sulla scienza. Confermato, smentito? Il WP in genere non scrive a vanvera e i precedenti ci sono già e sono clamorosi, come (lo riporta il New York Times) la rimozione delle notizie sul riscaldamento globale dal sito dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente, o quelle sulle persone LGBT da quello della Sanità.
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