Traguardo “Rifiuti zero”.È un obiettivo possibile

Intervista a Paul Connett, il fondatore del movimento «Rifiuti Zero», intervenuto nell’ambito della Green Week delle Venezie in corso a Treviso
ANTONIO MACONI*
Paul Connett insegna chimica e tossicologia alla Saint Lawrence University nello stato di New York, ma è soprattutto il fondatore di “Rifiuti zero”, un movimento nato nel 1996 a Canberra, Australia, e che si è diffuso a livello mondiale. In Italia Connett è un nome noto: ha girato in lungo e in largo la penisola, incontrando oltre 220 comunità. Sono oggi 126 i comuni italiani che hanno aderito a un progetto che vuole progressivamente arrivare alla riduzione dei rifiuti entro il 2020. Lo abbiamo incontrato in occasione del suo intervento a Treviso nell’ambito della Green Week delle Venezie, in un convegno dedicato al tema “Rifiuti: da spreco a risorsa”
Professor Connett, è plausibile pensare di arrivare a produrre zero rifiuti entro il 2020?

Credo che sia impossibile, ma non è questo il punto. Il nostro obiettivo è puntare ad arrivare a questo traguardo. Quando si parla di rifiuti zero, il tema centrale è quello della sostenibilità: un fattore che spesso noi dimentichiamo è che la natura non produce rifiuti. La natura – e noi esseri umani – abbiamo un meccanismo di autoregolazione che blocca la produzione di ciò che è in eccesso. Dobbiamo recuperare anche noi questo meccanismo, in termini di comunità, e applicarlo anche nella produzione e gestione di rifiuti. Il problema principale è il trattamento della plastica, che viene utilizzata per la produzione di beni non durevoli (confezioni, imballaggi, …), ma che resiste per centinaia di anni.

In Italia si parla spesso di emergenza rifiuti, più che di traguardo rifiuti zero. Meglio puntare sulla gestione pubblica dei rifiuti o su soluzioni private?

Credo che entrambe le direzioni possano funzionare. Quello che è necessario è che le discariche siano pubbliche: le comunità devono essere responsabili di ciò che avviene alla fine del processo di produzione e smaltimento dei rifiuti, come ad esempio nel caso di San Francisco. Le aziende devono trarre profitto invece dal riutilizzo e dalla rivitalizzazione dei rifiuti; in questo non trovo niente di male, anzi spesso ci sono dei casi di eccellenza da raccontare. Guardiamo ad esempio a Capannori o Treviso: c’è un legame molto forte tra amministrazione e aziende private e tra aziende, amministrazioni e attivisti a livello locale, che hanno un ruolo educativo fondamentale.

La sua strategia punta sulle quattro “erre”: riduzione, riutilizzo, riciclo e re-design. Ce ne parli.

Le prime tre “erre” sono ormai pratica comune in tutto il mondo: in America con i casi di San Francisco, delle città nel Vermont, che hanno raggiunto una riduzione dei rifiuti dell’83%, e anche in Italia, con l’esperienza di Capannori, del Consorzio Priula, e anche di Salerno, il cui impianto di compostaggio dovrebbe essere una meta turistica. La tappa successiva deve essere quella del redesign, e qui entra in gioco la questione della responsabilità dell’industria: è vero che l’obiettivo è sell now “vendere ora”, ma bisognerebbe anche tenere in mente la necessità di share the future “condividere il futuro”. Il settore industriale – soprattutto quella parte che si occupa della produzione di beni durevoli – è già molto impegnato da questo punto di vista; il vero problema è l’industria del packaging, che deve completamente rivedere le proprie strategie. Dovrebbero tutti ispirarsi al miglior esempio di food packaging al mondo, che è tra l’altro un’invenzione italiana: il gelato, mangiate il contenuto e anche il contenitore!

La Green Week delle Venezie vuole promuovere il concetto di crescita felice: ma è possibile coniugare la sostenibilità e il benessere con lo sviluppo economico?

I vent’anni di vita di questo movimento hanno dimostrato che l’obiettivo dei “rifiuti zero” porta grandi benefici economici: non solo in termini di posti di lavoro, ma anche di benessere dei cittadini, di cultura, di conoscenza. I tre attori coinvolti – la politica, le comunità e l’industria – devono perseguire lo stesso obiettivo, ovvero progettare una società sostenibile. Le comunità stanno già imparando a seguire lo slogan “consuma meno e sii più felice”, ma c’è un problema politico, perché l’impegno delle comunità deve essere sostenuto da una leadership forte e duratura: spesso, quando cambiano le amministrazioni, vengono anche annullati tutti gli sforzi verso la riduzione dei rifiuti.

E le industrie: potranno produrre meno ed essere più felici?

Sono convinto che fra qualche anno le industrie svilupperanno due ambiti di attività: la produzione di nuovi prodotti e il riutilizzo dei vecchi prodotti. E’ famoso il caso dell’impianto Volvo in Svezia: per evitare la chiusura dell’impianto, gli operai hanno chiesto di poter utilizzare le strutture per rivitalizzare i prodotti di scarto e le vecchie macchine. Si è rivelato essere un modello non solo sostenibile dal punto di vista ecologico, ma anche economico. E sono convinto che questo debba essere il futuro dell’industria. Ancora una volta, sell now and share the future, vendi ora e condividi il futuro.

* Antonio Maconi è programme director Nordesteuropa Editore, Padova.