Tortora 35 anni dopo: vittime di errori giudiziari senza risarcimento

Il presentatore tv Enzo Tortora fu arrestato all’alba del 17 giugno ’83 in un albergo di Roma, ma fu portato in carcere in tarda mattinata, solo quando – secondo i difensori – fotografi e cineoperatori furono pronti a ritrarre l’imputato in manette. LEFT

A 35 anni dal caso Tortora, le associazioni denunciano: «Le vittime degli errori giudiziari senza risarcimento»

TANIA CAREDDU 2 LUGLIO 2018 DIRITTI NOTIZIE POLITICA SOCIETÀ

Disse Ferdinando Imposimato (giudice istruttore dei più importanti casi di terrorismo, tra cui il rapimento di Aldo Moro) che l’errore giudiziario è un virus, capace di inocularsi in qualsiasi parte del processo e di rimanerci se il sistema non è in grado di espellerlo. Reazione che, talvolta, non avviene e che, dal più famoso caso di Enzo Tortora – del quale ricorre il trentacinquesimo anniversario dal suo ingiusto arresto – passando per il più eclatante, quello di Giuseppe Gulotta, ha prodotto, dal 1991 a oggi, circa ventiseimila e cinquecento errori giudiziari, compresa l’ingiusta detenzione, e per risarcire i quali lo Stato, dal 1992 al 2017, ha speso 768.361.091 milioni di euro, quasi 29 milioni di euro l’anno.

Utilizzati, principalmente, per corrispondere gli indennizzi per le ingiuste detenzioni, che oggi, dopo la legge Carotti che li elevò da cento milioni di lire a un miliardo, hanno un tetto massimo di 516mila euro. «L’unico che lo ottenne fu Clelio Darida, ex guardasigilli e sindaco di Roma. Per tutti gli altri, è una somma simbolica che viene elargita come ristoro», racconta a Left, il presidente dell’associazione Art643, Gabriele Magno. Che precisa: «Il vero problema è l’abuso della questione della custodia cautelare preventiva, ossia per il solo fumus del reato, i presunti colpevoli vanno in carcere o ai domiciliari: per loro non è previsto il risarcimento (che, invece, spetta a chi ha subìto condanna definitiva e solo dopo la revisione del processo, grazie a nuove prove, viene assolto) bensì un indennizzo». Sempre più spesso poco riconosciuto: «un po’ perché, così facendo, si cerca di tutelare l’infallibilità del magistrato e un po’ per una questione di principio», continua Magno. Per esempio, «i magistrati che hanno assolto Enzo Tortora – prosegue Magno – sono stati ampiamente criticati perché assolvendolo hanno creato i presupposti perché vincesse il referendum dei radicali sulla responsabilità civile dei giudici».

Quello del tetto massimo dell’indennizzo e quello relativo agli errori del magistrato sono due limiti che l’associazione Art643 ritiene da superare. «La nostra casistica – riferisce il suo presidente – ci ha portato a constatare che chi è stata vittima di un’ingiusta detenzione, nei due anni successivi all’assoluzione – il tempo previsto per proporre istanza di riparazione – si preoccupa di recuperare i propri rapporti umani, deteriorati e persi». E, raramente, di pensare all’indennizzo. Ma, spiega Magno, «dietro il termine dei due anni dall’assoluzione, si cela (furbescamente) la prescrizione dell’errore del magistrato. E la cosa scandalosa è che, in Italia, non abbiamo una casistica: la legge c’è ma non è stata mai applicata per evitare precedenti. Senza precedenti, il problema non esiste»…per continuare a leggere cliccare:

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