Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze. @giuliocavalli
“Lo scassaminchia” Giulio Cavalli –
Un Paese inumano con i testimoni di giustizia –
C’è qualcosa che sfugge a molti commentatori nella vicenda di Ignazio Cutrò, testimone di giustizia che si è rifiutato di pagare il pizzo e ha permesso di mettere alla sbarra umori di mafia nell’agrigentino, che decide di vendere tutta la sua “roba” perché impossibilitato a continuare a vivere senza i soldi nemmeno per pagare gli studi ai propri figli: l’inumanità della politica.
Andiamo con ordine: i testimoni di giustizia in Italia sono un tesoro di valenza giuridica (permettono insomma di arrestare i mafiosi) e soprattutto una valenza simbolica (dovrebbero dimostrare che lo Stato premia chi difende la legalità e riesce a proteggerlo). La storia di Cutrò è fresca e visibile ma sono in molti i testimoni di giustizia che sotto traccia sono ai margini della povertà o al confine dell’instabilità psicologica, come ci ha raccontato molto bene una puntata di Presadiretta non molto tempo fa e siamo in moltissimi che da anni cercano di raccontare le falle di un sistema che non riesce a difendere e sostenere le proprie persone migliori.
Ignazio non si arrende: accusa i mafiosi e decide di rimanere lì a Bivona dove ha sempre vissuto e lavorato per alzare il tiro: “io non me ne vado dalla mia terra, sono i mafiosi che se ne devono andare”. Poi si immagina (e mette in pratica) una rete di testimoni di giustizia come lui che possa confrontarsi ed elaborare criticità e proposte. Per dire: Cutrò e la sua Associazione Testimoni di Giustizia sono i fautori del disegno di legge che viene adottato dalla Regione Sicilia per garantire un lavoro ai testimoni nelle pubbliche amministrazioni oppure, per dire, Ignazio e la sua associazione sono gli stessi che hanno ottenuto a Roma un incontro con i componenti della Commissione Antimafia e il Sottosgretario del Ministero degli Interni per discutere della loro condizione.
Insomma Ignazio oltre ad essere un “protetto” dallo Stato è anche uno scassaminchia, uno di quelli che pone sempre una domanda in più spesso scomoda, uno di quelli che non ha mediato con la mafia e figurarsi se è disposto a mediare con le istituzioni (le chiamano mediazioni ma sono troppo spesso compromessi). E ora muore di fame.
I maligni dicono che questa sua esposizione da “sindacalista” abbia irritato qualcuno e che quella puntata non sia piaciuta al Ministero, lui comunque ora è solo.
Ieri ho sentito Ignazio, ci sentiamo spesso, mi chiama suo “fratello” e mi sono proposto di dargli una mano insieme ad altri almeno perché i suoi figli possano studiare al nord. Lui mi ha risposto dicendomi che non può chiedere aiuto per “dignità”: “Ho distrutto la vita a me stesso, alla mia famiglia e ai miei figli. Non la mafia ma questo Stato è il mio nemico”.
Qui oltre alla giustizia è anche l’umanità ad andare in vacca. La politica che non riesce ad essere umana con gli uomini è solo avanspettacolo. E la mafia si gode tutto dalla platea.
C’è qualcosa che sfugge a molti commentatori nella vicenda di Ignazio Cutrò, testimone di giustizia che si è rifiutato di pagare il pizzo e ha permesso di mettere alla sbarra umori di mafia nell’agrigentino, che decide di vendere tutta la sua “roba” perché impossibilitato a continuare a vivere senza i soldi nemmeno per pagare gli studi ai propri figli: l’inumanità della politica.
Andiamo con ordine: i testimoni di giustizia in Italia sono un tesoro di valenza giuridica (permettono insomma di arrestare i mafiosi) e soprattutto una valenza simbolica (dovrebbero dimostrare che lo Stato premia chi difende la legalità e riesce a proteggerlo). La storia di Cutrò è fresca e visibile ma sono in molti i testimoni di giustizia che sotto traccia sono ai margini della povertà o al confine dell’instabilità psicologica, come ci ha raccontato molto bene una puntata di Presadiretta non molto tempo fa e siamo in moltissimi che da anni cercano di raccontare le falle di un sistema che non riesce a difendere e sostenere le proprie persone migliori.
Ignazio non si arrende: accusa i mafiosi e decide di rimanere lì a Bivona dove ha sempre vissuto e lavorato per alzare il tiro: “io non me ne vado dalla mia terra, sono i mafiosi che se ne devono andare”. Poi si immagina (e mette in pratica) una rete di testimoni di giustizia come lui che possa confrontarsi ed elaborare criticità e proposte. Per dire: Cutrò e la sua Associazione Testimoni di Giustizia sono i fautori del disegno di legge che viene adottato dalla Regione Sicilia per garantire un lavoro ai testimoni nelle pubbliche amministrazioni oppure, per dire, Ignazio e la sua associazione sono gli stessi che hanno ottenuto a Roma un incontro con i componenti della Commissione Antimafia e il Sottosegretario del Ministero degli Interni per discutere della loro condizione.
Insomma Ignazio oltre ad essere un “protetto” dallo Stato è anche uno scassaminchia, uno di quelli che pone sempre una domanda in più spesso scomoda, uno di quelli che non ha mediato con la mafia e figurarsi se è disposto a mediare con le istituzioni (le chiamano mediazioni ma sono troppo spesso compromessi). E ora muore di fame.
I maligni dicono che questa sua esposizione da “sindacalista” abbia irritato qualcuno e che quella puntata non sia piaciuta al Ministero, lui comunque ora è solo.
Ieri ho sentito Ignazio, ci sentiamo spesso, mi chiama suo “fratello” e mi sono proposto di dargli una mano insieme ad altri almeno perché i suoi figli possano studiare al nord. Lui mi ha risposto dicendomi che non può chiedere aiuto per “dignità”: “Ho distrutto la vita a me stesso, alla mia famiglia e ai miei figli. Non la mafia ma questo Stato è il mio nemico”.
Qui oltre alla giustizia è anche l’umanità ad andare in vacca. La politica che non riesce ad essere umana con gli uomini è solo avanspettacolo. E la mafia si gode tutto dalla platea.
fonte: l’Espresso
http://cavalli.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/02/21/un-paese-inumano-con-i-testimoni-di-giustizia/