Addio a Luca Ronconi: attore e regista, maestro del teatro italiano
“Non voleva morire”, dice ora commosso Sergio Escobar il direttore del Piccolo Teatro che gli è stato accanto fino alla fine. Luca Ronconi è morto oggi a Milano. Il più grande regista italiano, uno dei nomi più celebri del teatro europeo contemporaneo se ne è andato, il maestro di generazioni di attori, l’artefice dei più bei spettacoli visti in questi anni, dall’Orlando Furioso del ’69 a Gli ultimi giorni dell’umanità, da Lolita all’ultimo bellissimo, sempre applaudito Lehman Trilogy in scena in questi giorni al Piccolo Teatro. Proprio oggi la recita pomeridiana è andata in scena quando la notizia era già arrivata agli attori che hanno recitato col dolore nel cuore. Luca Ronconi andava tutti i giorni da loro, stava con loro, e gli era vicino.
Andava fino a qualche giorno fa quando una polmonite lo aveva costretto a letto. A 81 anni, nonostante gli otto anni di dialisi, il suo corpo reggeva ancora bene: “per fortuna il mio corpo è forte” aveva ripetuto poco prima del debutto di Lehman trilogy. Ma non ce l’ha fatta a superare la polmonite. E in ospedale, al Policlinico di Milano è morto nel pomeriggio di oggi.
Ronconi era nato in Tunisia nel 1933. Si era diplomato all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma nel 1953. Il teatro era stata una sua passione fin da bambino, raccontava. Era la madre, donna forte, separata dal marito (“non ho mai voluto avere un rapporto con lui” diceva
Ronconi) ad averlo avvicinato a teatro e lui lì aveva trovato la sua casa, il terreno in cui riusciva ad esprimersi nonostante il carattere riservato, un po’ chiuso, poco propenso alle esibizioni. “La mia prima volta da spettatore non l’ho mai dimenticata, è fra le mie memorie più vive. Mia madre mi portò in un teatro di Roma a vedere una commedia. Non saprei dire che cosa fosse. Era una commedia in genovese con Gilberto Govi. Ricordo che si parlava di una gallina, ricordo che mia madre me ne parlava, ricordo che ero in uno stato di sovreccitazione”.
Aveva esordito come attore in Tre quarti di luna di Luigi Squarzina, accanto a Vittorio Gassman. Recita ancora per qualche anno appena uscito dall’Accademia ma capisce presto che è la regia, l’analisi dei testi, il lavoro sull’attore la sua vera vocazione. Inizia a lavorare come regista nel 1963, con la compagnia di Corrado Pani e Gianmaria Volonté. Ma il suo primo capolavoro nel 1969 è l’Orlando furioso di Ariosto, nella versione di Edoardo Sanguineti: uno spettacolo immaginifico per chi lo vide, con gli attori che recitavano in contemporanea in spazi diversi spostandosi su enormi oggetti scenici. Un successo mondiale che da subito lo proietta nell’empireo dei grandi registi europei, lui poco più che trentenne accanto a grandi come Strehler, Stein. Di Ronconi andrebbe ricordato tutto: il biennio 1977 – 1979 del laboratorio al Metastasio di Prato (dove fece il bellissimo La torre di von Hofmannsthal 1978).
Tra i suoi capolavori indimenticabili Ignorabimus di Holz 1986, Tre sorelle di Cechov 1989. Dall’89 al 94 è direttore allo Stabile di Torino dove firma un altro capolavoro Gli ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus al Lingotto (1991), poi si sposta al Teatro di Roma dal 1994 al 1998, dove nel 1996 tra i tanti lavori firma Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda. Nel 1999 alla morte di Giorgio Strehler approda al Piccolo Teatro di Milano, accanto al direttore Sergio Escobar. Ronconi è il direttore artistico. Subito la sua impronta si sente. Il primo anno mette in scena un testo non teatrale cone Lolita di Nabokov, nel 2002 dirige in una ex fabbrica, Infinities, tratto da un testo scientifico del cosmologo John David Barrow: cinque spetatcoli in contemporanea da vedere come in un labirinto organizzato con logica matematica. Dal Piccolo non i staccherà più, anche quando in anni recenti Ronconi lascerà la carica di direttore artistico per restare il regista stabile e consulente artistico del teatro. Al Piccolo lascia gli spettacoli della maturità dove la vena sperimentale si fa più pacata ma non meno determinata che in passato: spettacoli come Candelaio di Giordano Bruno, Quel che sapeva Maisie di Henry James, Infinities di John David Barrow, Prometeo incatenato di Eschilo, Le Baccanti di Euripide, Le rane di Aristofane, il bellissimo Professor Bernhardi di Arthur Schitzler, Il ventaglio di Goldoni, fino all’ultimo Lehman trilogy.
Ronconi è stato anche uno dei più bravi e amati registi di lirica, uno sui tutti Il viaggio a Reims dell’edizione scaligera con Claudio Abbado.
Svariate le lauree honoris causa. “Mi piacciono i boschi, le lepri, i campi coltivati, le volpi, i torrenti, i cinghiali, gli ulivi, le stelle. Ed è per questo che sono andato a vivere in una casa in Umbria, in un paesino che si chiama Casa del Diavolo, dove posso vedere tutte queste cose”, era tra le poche cose che raccontava di sé. In Umbria con Roberta Carlotto aveva fondato la scuola di santa Cristina, una scuola di perfezionamento pagata con soldi di tasca sua, un luogo ameno dove “studiare” il teatro che solo Ronconi poteva realizzare. Tra i suoi pensieri più belli: “Ho imparato a conoscere il mondo attraverso il teatro. Da adolescente ero completamente chiuso su me stesso. Poi facendo il regista, non l’attore, ho imparato a conoscere gli altri e me stesso”. E il teatro non lo dimenticherà.
Si attende di sapere quando saranno i funerali e se ci sarà la camera ardente. “Non amava le esposizioni”, ha detto Sergio Escobar direttore del Piccolo, vorremmo rispettare finché possiamo le sue volontà”.Intanto, appena diffusa la notizia, sono arrivati i messaggi di cordoglio del presidente del Consiglio Renzi e del ministro della Cutura Franceschini.
fonte: La Repubblica
http://www.repubblica.it/spettacoli/teatro-danza/2015/02/21/news/e_morto_luca_ronconi_una_delle_anime_del_teatro_italiano_nel_mondo-107888000/?ref=HREA-1