Strage operaia: prime condanne

La vignetta del manifesto sul rogo   © Biani

La vignetta del manifesto sul rogo
© Biani

Strage operaia, prime condanne

—  Riccardo Chiari, PRATO, 12.1.2015

Schiavi moderni. Pene pesanti al processo per i sette operai cinesi morti nel capannone lager al Macrolotto. Dove lavoravano sette giorni su sette per 50 euro al giorno. La titolare e i gestori della ditta di confezioni Teresa Moda colpevoli anche di omissione dolosa delle leggi antinfortunistiche. Come alla Thyssen Krupp.

Almeno in primo grado, la giu­sti­zia ita­liana non ha tra­scu­rato la memo­ria dei sette ope­rai cinesi morti come topi in trap­pola nel capan­none lager di via Toscana al Macro­lotto. Lì dove lavo­ra­vano sette giorni su sette, e vive­vano come schiavi moderni, per essere pagati con 50 euro al giorno. Il pro­cesso con rito abbre­viato alla tito­lare e ai due gestori della ditta di con­fe­zioni Teresa Moda si è chiuso con la con­danna a 8 anni e 8 mesi di Lin You­lan. Men­tre la sorella Lin Youli è stata con­dan­nata a 6 anni e 10 mesi, e il marito di quest’ultima, Hu Xia­ping, a 6 anni e 6 mesi.

La giu­dice Sil­via Isi­dori ha accolto quasi in toto l’accurata rico­stru­zione della strage fatta dalla pro­cura pra­tese. Alle accuse di omi­ci­dio col­poso plu­rimo aggra­vato e incen­dio col­poso aggra­vato, si aggiun­ge­vano le rei­te­rate vio­la­zioni delle più ele­men­tari norme sulla sicu­rezza. Su que­sto aspetto, la gup Isi­dori ha cer­ti­fi­cato la col­pe­vo­lezza di Lin You­lin per l’omissione dolosa delle cau­tele antin­for­tu­ni­sti­che. In altre parole la padrona della ditta è stata rite­nuta respon­sa­bile di aver coscien­te­mente messo a rischio la vita dei suoi ope­rai, per otte­nere un mag­giore pro­fitto. Come acca­duto, ma solo in primo grado, nel pro­cesso per l’immane rogo alla Thys­sen Krupp.

Come evi­den­ziato nella requi­si­to­ria del pm Lorenzo Gestri, il capan­none dove aveva sede la Teresa Moda non aveva le uscite di emer­genza né altri per­corsi di fuga. Man­cava una rete idrica per l’antincendio, e l’impianto elet­trico non era a norma. “E’ molto pro­ba­bile – aveva spie­gato Gestri – che sia stato la causa dell’inizio dell’incendio. Ma se non ci fos­sero stati i sop­pal­chi non ci sareb­bero stati i morti, e non ci sarebbe que­sto pro­cesso. Per­ché la situa­zione era di una gra­vità straordinaria”.

Gli ope­rai lavo­ra­vano – anche per 16 ore al giorno – man­gia­vano e dor­mi­vano in una strut­tura con le sbarre alle fine­stre, e con loculi in car­ton­gesso. Pren­dere o lasciare. “E non mi si dica che non c’era con­sa­pe­vo­lezza che i sop­pal­chi erano il luogo più insi­curo – aveva pun­tua­liz­zato il pm – non è un caso che Youli e il marito si siano sal­vati, e non è un caso che fos­sero nel luogo più vicino all’uscita, in una stanza rea­liz­zata in cemento”.

Il pro­cesso ai pro­prie­tari ita­liani del capan­none è ancora in corso. Gia­como e Mas­simo Pel­le­grini, che con una loro società immo­bi­liare affit­ta­vano a caro prezzo l’immobile, sono anch’essi accu­sati di omi­ci­dio col­poso plu­rimo aggra­vato e incen­dio col­poso aggra­vato. Già in que­sto pro­cesso è stata evi­den­ziata la com­mi­stione di inte­ressi tra con­fe­zio­ni­sti cinesi e immo­bi­lia­ri­sti ita­liani, sem­pre assi­stiti da avvo­cati e com­mer­cia­li­sti esperti. E sem­pre pronti a chiu­dere gli occhi sulle vio­la­zioni della sicu­rezza. Intanto il difen­sore degli impu­tati Gabriele Zano­bini annun­cia il ricorso in appello: per lui il “sistema Prato” — quello che con enorme fatica le isti­tu­zioni e gli inve­sti­ga­tori stanno da allora cer­cando di com­bat­tere – non è stato dimo­strato nel dibattimento.

fonte: la Repubblica
http://ilmanifesto.info/strage-operaia-prime-condanne/