Sprechi di Stato: con un pieno di benzina si pagano ancora l’Abissinia e il Belice

immagine tratta da Business Insider Itallia

Giuliano Balestreri

Due terzi del pieno di benzina finiscono nelle casse dello Stato: tra Iva e accise, il Fisco mette le mani su un euro tondo per ogni litro, mentre la “verde” costa appena 50 centesimi. D’altra parte si sa: l’auto è un bene irrinunciabile e le merci, in Italia, viaggiano quasi esclusivamente su gomma. E così quando c’è da fare cassa basta mettere un balzello sui carburanti per fare centro.

Spesso le accise – arrivate a quota 0,728 euro al litro – sono state utilizzate per mere esigenze di bilancio, altre volte, invece, servono a coprire spese impreviste. Salvo poi diventare definitive. L’elenco delle spese ormai archiviate che ancora gravano sulla nostra benzina è lungo: in ordine cronologico ci sono la guerra di Abissinia, la crisi di Suez, la diga del Vajont, l’alluvione di Firenze, il terremoto del Belice, del Friuli, dell’Irpinia, le due missioni Onu in Libano, la missione Onu in Bosnia, il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri, il rinnovo della flotta di autobus pubblici, il finanziamento al fondo dello spettacolo (Fus), l’alluvione in Lunigiana, il decreto salva Italia, il terremoto in Emilia e il taglio delle imposte in Abruzzo.

Nel complesso 30 centesimi servono a coprire i buchi di bilancio, 31 pagano l’ormai passata invasione dell’Abissinia (1935) oltre alle missioni in Libano e Bosnia e – infine – 11 centesimi servono a ricostruire i paesi distrutti dal terremoto.

Eppure i fatti dimostrano che lo Stato è bravo a incassare, ma non altrettanto efficiente nello spendere. Secondo i calcoli della Cgia di Mestre, infatti, gli italiani hanno versato con le accise più del doppio (145 miliardi) di quanto è stato speso, 70,4 miliardi di euro, per ricostruire tutte e sette le aree colpite dai terremoti che si sono succeduti in questi ultimi decenni (Valle del Belice, Friuli, Irpinia, Marche-Umbria, Molise-Puglia, Abruzzo ed Emilia Romagna).

Dal 1970 al 2015 gli italiani hanno versato 145 miliardi di euro nominali (261 miliardi di euro se attualizzati), mentre il Consiglio Nazionale degli Ingegneri stima in 70,4 miliardi di euro nominali (121,6 se attualizzati) il costo della ricostruzione delle sette le aree danneggiate. Peggio: solo i più recenti terremoti dell’Aquila e dell’Emilia Romagna hanno presentato costi superiori a quanto fino ad ora è stato incassato con le rispettive accise.

“Ogni qual volta che facciamo benzina – spiega il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – 11 centesimi di euro al litro vengono prelevati per finanziare la ricostruzione delle zone che sono state devastate negli ultimi decenni da questi eventi sismici. Con questa destinazione d’uso gli italiani continuano a versare all’erario circa 4 miliardi di euro all’anno. Se, come dicono gli esperti, questi fenomeni distruttivi avvengono mediamente ogni 5 anni, è necessario che queste risorse siano impiegate in particolar modo per realizzare gli interventi di prevenzione nelle zone a più alto rischio sismico e non per altre finalità”.

Insomma, i conti non tornano. Anche perché spesso si sono fatti i conti su quale sarebbe il costo della messa in sicurezza di tutto il territorio italiano: per Mario Dolce, direttore della Protezione civile, servono circa 50 miliardi per i soli edifici pubblici, mentre per i privati gli ingegneri stimano 93,7 miliardi. Un’altra stima che invece considera solo le aree a elevato rischio sismico ritiene che basterebbero 36 miliardi di euro. Di certo se lo Stato avesse investito almeno una parte di quei quattro miliardi di euro che ogni anno escono dalla tasche dei cittadini per puntellare le aree più delicate del Paese l’impatto delle ultime tragedie non sarebbe stato così forte.

La Finanziaria 2013 del governo Monti, inoltre, ha reso permanenti le accise per recuperare le risorse da destinare alla ricostruzione delle zone colpite dal terremoto. Una decisione che solleva un ulteriore paradosso: “Se l’applicazione delle accise per la ricostruzione è in parte giustificabile – annota il segretario della Cgia Renato Mason – perché mai continuiamo a pagare quelle per la guerra in Abissinia del 1935, per la crisi di Suez del 1956, per il disastro del Vajont del 1963 e per l’alluvione di Firenze del 1966 fino ad arrivare al rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004?”.

fonte: Business Insider Italia

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