La Corte Costituzionale ha bocciato l’accorpamento delle province decretato dal Governo Monti.
Il provvedimento non meraviglia, per certi versi anzi era atteso, stupisce invece che se ne parli in termini di “bocciatura di una riforma” promuovendo così un classico taglio da spending review a riforma dell’ordinamento dei poteri locali.
A scanso di equivoci sono favorevole al fatto che la spending review intervenga sulle province, eliminando una oggettiva sovrapposizione istituzionale ed allontanando le forbici da settori socialmente più sensibili quali scuola, sanità e giustizia. Ma il provvedimento sulle province non è certo sufficiente a riformare un assetto istituzionale che invece necessiterebbe di importante riesame complessivo.
Le regioni, a seguito della riforma costituzionale del titolo V, hanno un enorme potere legislativo e sono divenute i principali centri di spesa del sistema Italia.
Tutte le 20 regioni hanno una importanza tale da giustificare tale potere da semi stato federale?
Sono 10 le regioni con popolazione superiore a 2 milioni di abitanti (Lombardia, Campania, Lazio, Sicilia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Puglia Toscana e Calabria). Per la Sardegna vale la peculiarità insulare. E le altre 9?
Una Riforma degna di questo nome ne valuterebbe l’accorpamento.
Avanzare riserve mirate a tutelare capoluoghi popolosi come Genova o prestigiosi come Trieste porterebbe fuori strada: Genova diverrà città metropolitana. E perché non anche Trieste? E Verona, Catania e Messina? Pur non essendo capoluoghi superano la soglia dei 250.000 abitanti oltre la quale si è considerati grandi città.
Anche la riserva mirata al mantenimento delle “piccole regioni a Statuto speciale” dovrebbe essere considerata una rigidità che non trova ragione d’essere nell’attuale realtà italiana.
La riforma dovrebbe riguardare anche i comuni.
Dei 8.092 municipi italiani ben 3520 non superano i duemila abitanti.
Si stanno formando spontaneamente numerose unioni di comuni ma un chiaro intervento di riordino da parte del governo manca ancora.
Intervento che potrebbe risultare molto conveniente in termini di efficienza e contenimento della spesa soprattutto in Piemonte, Liguria, Sardegna,e Val d’Aosta (esattamente il territorio dell’ex regno di Sardegna) in cui ben due terzi dei comuni non superano i duemila abitanti ed una cinquantina neppure i 100 abitanti.
Infine meriterebbe attenzione anche un aspetto relativo alla costituzione delle città metropolitane.
La legge ne ha stabilito il confine all’interno delle attuali province e questo pone problemi a situazioni in cui i centri urbani in più forte relazione con il capoluogo sono al di fuori di tale perimetro e pertanto vi è il rischio di costituire città metropolitane incomplete.
E’ il caso di Firenze (358.000 abitanti) che a pochi chilometri di distanza ma al di fuori della propria provincia vede la continua crescita di Prato (185 mila abitanti) ed anche di Bologna (370.000 abitanti) e Modena (180.000 abitanti) e forse pure di Milano (1.240.000 abitanti) e Monza (120.000 abitanti).
Angelo Gerosa