Pubblicato: 1 febbraio 2019 in America Latina, Europa, Mondo
Tag:Brexit, ELN, lotta armata, New IRA, Pace Colombia, populismo, populismo armato,terrorismo0
L’autobomba che il 17 gennaio ha provocato 21 vittime all’ingresso dalla Scuola di Polizia di Bogotá, in Colombia, ha fatto ripiombare il Paese nei tempi bui della lunga guerra civile, che si sperava fosse ormai superata. Responsabile sarebbe l’Esercito di Liberazione Nazionale, che qualche giorno più tardi ha rivendicato l’attentato: si tratta dell’unico gruppo di guerriglia ancora attivo, dopo che le FARC, ormai diventate forza politica democratica, hanno firmato un accordo di pace. Intanto, all’Avana, lo stesso Esercito di Liberazione Nazionale sta conducendo un negoziato con il governo colombiano per raggiungere un cessate il fuoco.
Quasi nelle stesse ore esplodeva un’autobomba vicino al tribunale di Derry, città dell’Irlanda del Nord nota per la Bloody Sunday del 30 gennaio 1972, quando il I Battaglione del Reggimento Paracadutisti dell’esercito britannico sparò contro i manifestanti irlandesi colpendo a morte 14 persone, tra le quali 6 minorenni. Per fortuna questa volta non ci sono state vittime. A compiere l’attentato sarebbe stata la “nuova IRA”, una formazione dissidente dall’antico gruppo irredentista irlandese, non più operativo dal 2010. Sono segnali in controtendenza, che riaccendono focolai di tensione in realtà mai sopiti del tutto.
La “giustificazione”, si fa per dire, di questo genere di terrorismo è legata ai fallimenti della politica: al fatto che il governo colombiano, di estrema destra, non ha manifestato la volontà di concludere un accordo di pace e alle incognite che la Brexit pone sul futuro delle due Irlande. Non si tratta degli unici casi: in giro per il pianeta esistono diversi episodi di ribellione armata, tutti però sempre più lontani da obiettivi comprensibili. Anche perché il mondo della lotta armata tradizionale non esiste più. I gruppi storici superstiti, così come quelli nati negli ultimi anni, sono fortemente inquinati da connivenze con la criminalità, o addirittura risultano direttamente coinvolti nella gestione di affari loschi, come la vendita di droga, pietre preziose e legname di provenienza illecita. Altro filone di lotta armata è quello della galassia jihadista, collegata economicamente e politicamente con i peggiori regimi della Terra. Non che la politica tradizionale sia estranea a “frequentazioni pericolose”, anzi: ma nel caso di gruppi che rivendicano l’uso di strategie terroristiche tutto diventa ancora più fumoso e incomprensibile.
Lo storico conflitto irlandese presentava indubbiamente elementi di lotta di liberazione nazionale contro l’occupazione inglese, così come quello colombiano nacque nell’ambito della lotta tra latifondisti e contadini per il possesso della terra. Resta un mistero quale possa essere oggi l’utilità di attentati contro i simboli dello Stato per dirimere la questione Brexit o per accelerare un accordo di pace già in discussione. Ed è così che questi gruppi residui di lotta armata, ai quali vanno aggiunte anche alcune bande ribelli delle FARC in Colombia, di Sendero Luminoso in Perù e dell’ETA in Spagna, si rivelano perfetti per essere manipolati da quello stesso potere che dicono di voler combattere. Per la destra colombiana e per gli unionisti irlandesi sono una manna dal cielo, perché in un caso favoriscono ulteriori svolte repressive contro qualsiasi forma di dissidenza, nell’altro giustificano l’ombrello protettivo di Londra.
Non c’è nulla di romantico né di condivisibile nell’azione di queste schegge di gruppi rivoluzionari sopravvissute alla Guerra Fredda. Sono solo burattini in un gioco più grande, in mano ai poteri forti o agli Stati, che li usano o se ne liberano secondo i bisogni del momento. Rappresentano però anche un segnale di allarme sull’ulteriore deterioramento della democrazia, praticata nel mondo da un numero sempre minore di Paesi e picconata quotidianamente dall’interno. Il terrorismo scuote fortemente l’albero della democrazia perché, oltre alla risposta repressiva, obbliga a trovare una risposta politica. Quando la democrazia non è più in grado di proporre nulla per riformare il mondo e si accontenta dell’esistente, si apre la stagione della demagogia e del populismo: anche di quello armato.