Pubblicato: 17 gennaio 2020 in Senza categoria
Tag:Donald Trump, Erdogan, Multilateralismo, nuovo ordine globale, terra di nessuno, unipolarismo, Vladimir Putin0
L’ingerenza aperta e non contrastata di Russia e Turchia in Libia conferma, se ce ne fosse bisogno, la previsione contenuta nel lavoro del 2013 di Charles Kupchan, docente di Relazioni internazionali alla Georgetown University, intitolato Nessuno controlla il mondo. Kupchan scrive che il secolo che stiamo vivendo non apparterrà a nessuno. Non sarà degli Stati Uniti né dell’Europa, perché l’Occidente attraversa un declino economico e politico che lo priverà di quella preminenza di cui gode fin dal Rinascimento. Ma non sarà neppure di Cina, Russia o India, perché nessuno dei Paesi emergenti ha i numeri per imporsi come nuova potenza dominante. Sarà più libero, nel senso che ognuno potrà svilupparsi secondo il modello che preferisce, ma anche più complesso, perché non esisterà un baricentro capace di garantire la stabilità, e i vari attori coprotagonisti sul palcoscenico non parleranno la stessa lingua in termini di valori “universali” condivisi. I Paesi emergenti sulla scena internazionale, infatti, non seguono più necessariamente il modello della democrazia liberale e del capitalismo. In Medio Oriente i movimenti islamisti hanno tratto quasi ovunque benefici dalle cosiddette “primavere arabe”. In Cina c’è un regime autocratico che adotta l’economia di mercato, mentre India e Brasile scivolano verso il populismo. La Russia, piegata la resistenza europea, sta riconquistando velocemente lo spazio geopolitico dell’Unione Sovietica e torna a essere un giocatore globale. Costruire una politica di alleanze multilaterali è sempre più difficile, come si è potuto verificare con il fallimento dei vertici sul cambiamento climatico. Insomma, questo secolo non sarà di nessuno. E dire che, visto dal Novecento, il XXI secolo doveva essere l’era della Cina oppure dell’India. Qualche economista era perfino pronto a scommettere sul Brasile, mentre i neoconservatori americani puntavano sul ritorno alla supremazia degli Stati Uniti.
Oggi le democrazie occidentali rappresentano meno della metà della ricchezza mondiale, e il loro rallentamento economico va di pari passo con la crescita di altre potenze, “minori” fino a ieri, ma che oggi dispongono di arsenali di tutto rispetto e soprattutto, nel caso della Cina, di un potere economico immenso. Quali strutture politiche e sociali s’imporranno, se le democrazie dei due lati dell’Atlantico non si ergeranno più a controllori dell’ordine globale? Vivremo certamente in un mondo più instabile e complicato. Presto la maggior parte delle dieci principali potenze economiche non sarà democratica. O meglio, si tratta di Paesi nei quali la democrazia si declina in modo diverso rispetto all’ortodossia: sistemi a partito unico, come in Cina; o a leader unico, come in Russia o Turchia; populismi e nazionalismi di destra, anche violenti, come in Brasile e India, e Stati controllati dal potere religioso come l’Iran.
Da dove cominciare? Fermo restando che le istituzioni multilaterali globali, come il WTO o le Nazioni Unite, in questa fase non sono agibili, l’unico modo per provare a porre rimedio alla deriva in corso è ripartire dalle istituzioni regionali, come l’Unione Europea, il Mercosur e i trattati asiatici. Per l’Occidente la missione storica – se mai è davvero stata tale – di “esportatore della democrazia” si è esaurita. Non potendo imporre un modello di democrazia, è però importante che resti alta l’asticella della difesa dei diritti umani e ambientali. È quasi l’unico piano sul quale si può riuscire a costruire un ponte se non verso le istituzioni, almeno verso la società civile di questi Paesi.
Sarà davvero – e anzi lo è già – un mondo di nessuno, e bisogna attrezzarsi. Un mondo nel quale non ci si può aspettare nulla da nessuno, dove ogni certezza, perfino quella della solidarietà atlantica, è ormai saltata. Un mondo più difficile e pericoloso, nel quale occorre sforzarsi di tenere in vita la speranza di ricreare un concerto tra le nazioni, per trovare insieme un nuovo ordine condiviso, basato su rapporti pacifici e di cooperazione.