La rinascita del WTO?
Pubblicato: 7 marzo 2021 in Mondo
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Quando, il primo gennaio 1995, sulle rive svizzere del lago di Ginevra si inaugurò la sede dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, meglio nota con la sigla inglese WTO, al centro della politica mondiale c’era il fenomeno della “globalizzazione dei mercati”. Il WTO nasceva da un dibattito cominciato nel 1986 con l’Uruguay Round, finalizzato a stabilire regole condivise per il commercio mondiale. Un percorso, quindi, partito quando erano ancora in vita l’Unione Sovietica e il blocco che a essa faceva riferimento. Oggi al WTO aderiscono a pieno titolo 164 Paesi e altri 23 hanno lo status di osservatori. Insieme ai Paesi a economia di mercato partecipano anche gli ultimi Stati che si definiscono socialisti, come Cina e Cuba, con la sola eccezione della Corea del Nord.
Dunque il WTO è nato per regolamentare gli scambi tra gli Stati. Nei suoi primi anni, però, non si limitava a questo semplice ruolo: contestualmente promuoveva l’apertura dei mercati, mediante la rimozione di barriere doganali e protezionismi. Un approccio, questo, gradito anche ai Paesi più poveri, i quali speravano di abbattere finalmente la barriera che impediva al loro export agricolo di approdare sui mercati europeo e statunitense. Ma proprio sull’agricoltura il WTO registrò la prima grande sconfitta quando nel 2003, con il fallimento del Vertice di Cancún, in Messico, si interruppe il percorso avviato solo due anni prima con il Doha Round: un ciclo di negoziati mirato a integrare maggiormente i Paesi del Sud del mondo nell’economia globale, agendo sul commercio di beni agricoli e servizi.
A Cancún, infatti, i Paesi non occidentali si resero conto che da un lato il WTO chiedeva loro di aprirsi alle merci e ai servizi “made in USA” o “made in Europe”, ma dall’altro i mercati europei e nordamericani restavano chiusi ai prodotti agricoli provenienti dal resto del pianeta. In USA e UE l’agricoltura continuava a essere fortemente sovvenzionata e protetta dai governi: alla prova dei fatti, proprio gli Stati che chiedevano di liberalizzare i commerci mondiali si opponevano all’apertura dei loro mercati interni.
Mentre il Doha Round agonizzava, Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, gli Stati che avevano coalizzato il resto del mondo contro il blocco occidentale, davano vita al gruppo dei Paesi Brics e al G20 che, di fatto, ha preso il posto del G7.
Così il WTO ha perso la sua centralità, ma non per questo è scomparso. È rimasto soprattutto a fare da arbitro nelle controversie tra Stati circa la validità e l’applicazione degli accordi sottoscritti e i casi di dumping, cioè di concorrenza sleale attraverso prezzi ribassati grazie alle sovvenzioni dei governi. Sono migliaia le cause discusse davanti all’organo di risoluzione delle controversie del WTO. Si tratta di un tribunale vero e proprio, che delibera e impone multe e sanzioni interpretando gli accordi sottoscritti dagli Stati. Uno dei Paesi più presenti nelle controversie sono gli Stati Uniti. In questi anni Washington ha promosso 114 azioni contro altri Paesi, 19 delle quali contro l’Unione Europea, ricevendo a sua volta 129 denunce per avere violato le regole del WTO, 33 delle quali da parte dell’UE. Tutte queste cause legali dimostrano come l’apertura mondiale dei mercati, auspicata a parole, nella realtà sia stata osteggiata, evitata centinaia di volte, ricorrendo a strumenti protezionistici che avrebbero dovuto essere messi al bando.
L’ultimo attacco in ordine di tempo contro il WTO è stato lanciato proprio dagli Stati Uniti. Donald Trump, nella sua crociata contro ogni forma di multilateralismo, ha infatti trovato il modo di bloccare anche questo organismo. È accaduto quando, nel dicembre 2019, è scaduto il mandato di due su tre giudici della “corte d’appello” del tribunale del WTO: il boicottaggio statunitense ha impedito di rimpiazzarli, congelando di fatto le vertenze aperte. Il copione si è ripetuto a maggio 2020 quando, dimessosi il direttore generale Roberto Azevêdo, il blocco trumpiano ha reso impossibile la nomina di un successore. Con Joe Biden la situazione cambierà, o almeno così pare. Al posto di Azevêdo, dal primo marzo 2021 c’è l’economista nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala e la macchina sembra pronta a ripartire. È difficile, però, che il WTO riesca davvero a diventare l’ago della bilancia nei rapporti commerciali mondiali, soprattutto in tempi di pandemia, che favoriscono nuovi e più forti protezionismi.
Il WTO ci ricorda una tappa della storia mondiale vicina nel tempo ma ormai lontana nello spirito. Un momento nel quale si era creduto che le regole del libero mercato “puro” fossero l’aspirazione dell’intera comunità mondiale. Era invece un’utopia, nel bene e nel male.