Somoza: la guerra per l’oro verde del Michoacan

immagine tratta dal sito di Alfredo Somoza

La guerra per l’oro verde del Michoacan

Pubblicato: 17 febbraio 2022 in America Latina
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Sulle montagne del Messico centrale già diecimila anni fa si coltivava l’aguacate, l’avocado, il cui nome nella lingua degli olmechi significa “testicolo”. Alla sua raccolta le donne non potevano partecipare. Con l’avocado già nei tempi precolombiani si confezionava un mole, una salsa speziata che veniva addensata con farina di mais: praticamente il guacamole, diventato oggi un prodotto di largo consumo negli Stati Uniti e in forte crescita anche in Europa. Proprio il successo planetario del guacamole ha fatto “esplodere” il mercato dell’avocado, insieme alla recente rivalutazione delle le proprietà nutrizionali di questo frutto che contiene vitamina A ed E, sali minerali, acido folico, omega3 e grassi buoni. Insomma, un concentrato di elementi preziosi per l’organismo umano.

L’avocado ancora oggi si produce soprattutto nel Paese dov’è stato “scoperto”: il Messico è il primo produttore mondiale con il 40% del mercato, a differenza di quanto accade con altre varietà tropicali che da tempo sono diffuse soprattutto in terre lontane da quelle d’origine, come il caffe arabo-etiopico coltivato in America o il cacao americano coltivato in Africa. E in Messico la moltiplicazione delle piantagioni illegali di avocado, costituite su terreni per i quali non si hanno titoli, è diventata un grandissimo problema ambientale. Si calcola che per coltivare avocado vengano abbattuti 800 ettari di foresta all’anno, con uno sfruttamento intensivo delle fonti idriche e un uso di quantità industriali di prodotti chimici, con alti tassi di inquinamento e di erosione del terreno. Il prezzo pagato ai produttori può toccare i 2,5 dollari al chilo, un’enormità rispetto a qualsiasi altro prodotto agricolo latinoamericano: per questo l’avocado è chiamato “oro verde”.

L’aumento della produzione messicana, si diceva, è avvenuto attraverso la moltiplicazione delle piantagioni illegali, ricavate abbattendo le foreste per impiantare alberi di avocado. Ciò è accaduto inizialmente su iniziativa di piccoli e medi produttori locali, ma il fenomeno ha attirato molto velocemente l’interesse dei cartelli del narcotraffico, che per impossessarsi del business hanno combattuto guerre tra di loro, oltre che contro i produttori locali. I primi furono quelli della Familia Michoacana e dei Caballeros Templarios, respinti dai contadini in armi che avevano costituito una propria milizia; poi arrivarono Los Viagras e soprattutto il Jalisco Nueva Generación, per impossessarsi di una parte della torta. Per i narcos il mercato dell’avocado presenta tre caratteristiche preziose che nessun altro settore offre tutte insieme. Anzitutto è un mercato lecito, sul quale si può “lavare” e riciclare denaro sporco; offre un margine di guadagno molto elevato; e ha gli USA come principale cliente mondiale, che sono anche il maggior cliente del mercato della droga. Ciò significa che si possono utilizzare i camion che trasportano gli avocado per far viaggiare anche gli altri “prodotti”: un frutto svuotato può contenere fino a 250 grammi di cocaina o eroina. Riciclaggio e affari legali come copertura per il narcotraffico, praticamente il massimo per qualsiasi cartello.

Droga e avocado seguono le stesse autostrade che dal Messico portano negli Stati Uniti e sono gestite dagli stessi soggetti. La differenza è che la prima si vende sul mercato illegale, dove i cartelli impongono le regole, l’altro sul mercato legale, dove le regole le fa lo Stato. Per questo le minacce telefoniche a un agente sanitario statunitense incaricato di ispezionare i campi in Messico hanno portato al momentaneo blocco dell’import negli USA di avocado del Michoacán, Stato messicano a ovest della capitale, affacciato sul Pacifico. Si tratta di un avvertimento che serve però anche a rilanciare l’industria dell’avocado negli Stati Uniti, oggi ottavo produttore mondiale. Sono troppi soldi, quelli generati da questo frutto tropicale, destinato secondo le proiezioni a diventare in pochi anni il primo per consumi a livello globale superando ananas e banane, per lasciarli in mano al Messico e soprattutto ai cartelli della droga. Con i quali si possono peraltro fare accordi e affari, ma senza che si sappia.

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