Somoza: intervista a Florencia Etcheves

«#NiUnaMenos: una lotta per rendere finalmente libere le nostre figlie». Intervista a Florencia Etcheves.

Pubblicato: 24 novembre 2020 in America Latina, Mondo
Tag: femminismo, Florencia etcheves, Ni una Menos, Non una di meno

Questo il brano di un’intervista a Florencia Etcheves per l’introduzione della nuova guida Argentina per l’editore CLUP ancora fermo in tipografia a causa della pandemia. Sarebbe un peccato non diffondere il passaggio dove Florencia spiega la nascita del movimento femminista Ni Una Menos, di cui è stata co-fondatrice, in questa Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Una piaga antica che purtroppo si è aggravata in questi mesi di lockdown. Alfredo Somoza

Florencia Etcheves è una giornalista e scrittrice argentina. Dopo 25 anni di televisione, dove si occupava di attualità e cronaca nera vincendo diversi premi, debuttò come scrittrice di polizieschi, raggiungendo in breve un grande successo. Il suo primo romanzo, La virgen en tus ojos, è diventato recentemente un serial su Netflix e il suo romanzo Cornelia è appena uscito in Italia, edito da Marsilio, con il titolo Scomparsa. Ma Florencia Etcheves è anche una militante femminista ed è stata nel 2015 tra le fondatrici del movimento Ni Una Menos, che ha varcato le frontiere dell’Argentina per diventare un fenomeno mondiale.

Dopo tanti anni come giornalista televisiva specializzata in cronaca nera come è stato il passaggio al ruolo di scrittrice?

In realtà è successo tutto di colpo, io lavoravo da 25 anni in televisione e nel 2010 mi chiamarono dall’editrice Planeta per chiedermi se volevo scrivere un libro, raccontando una storia che mi avesse colpito nella mia carriera come giornalista. Io avevo già scritto con due colleghe due libri di inchiesta giornalistica, ma erano esclusivamente casi di cronaca poliziesca che avevano suscitato grande clamore. Quando mi proposero di scrivere da sola, non avevo in mente nessun caso che meritasse di essere approfondito, ma continuava a stuzzicarmi l’idea di provare qualcosa di nuovo. E così, senza vergogna, risposi al direttore della casa editrice: «ok, ma mi piacerebbe scrivere un romanzo poliziesco». Io stessa ero sorpresa dalle mie parole, soprattutto perché non avevo idea di cosa avrei potuto scrivere. Il direttore, vedendomi così convinta, mi risposi che andava bene, che si poteva provare con un romanzo. All’inizio ero spaventata perché mi chiedevo «e ora cosa faccio?», ma alla fine è diventato man mano il mio nuovo mestiere. Da quasi due anni è addirittura il mio lavoro quotidiano, perché ho lasciato la televisione. Il mio primo romanzo poliziesco si chiamò La virgen en tus ojos. La scrittura è diventata una passione che ha divorato la mia storia come giornalista, che resta però un periodo chiave nella mia formazione come donna e come scrittrice.

Ma tu non sei solo una scrittrice di successo, sei stata anche tra le fondatrici di un movimento di donne, Ni Una Menos, che è diventato movimento mondiale ed è arrivato anche in Italia. Com’è nato e quali erano i primi obiettivi?

Correva il 2015, io lavoravo ancora come giornalista e la situazione qui in Argentina era impressionante: ogni giorno trovavano donne assassinate, violentate, corpi abbandonati dentro sacchi della spazzatura… Noi giornaliste eravamo veramente sconvolte e a un certo punto una mia collega, Marcela Ojeda, scrive un tweet nel quale dice: «Donne, scrittrici, giornaliste, avvocatesse, non facciamo nulla? Ci stanno uccidendo». Appena ho letto quel tweet ho sentito che lo stava dicendo a me, mi sono sentita toccata. Ho risposto subito: «Mi viene in mente che donne influenti possono convocare una grande marcia. Non so se serve, ma darà visibilità». Avevamo un microfono in mano come giornaliste e non lo stavamo utilizzando. Siccome non urlavamo troppo forte, nel nostro paese continuava a riprodursi una situazione insostenibile. In molte ci siamo dette che dovevamo fare qualcosa. Iniziò tutto con un gruppo di WhatsApp, dove nacque l’idea di organizzare una manifestazione pubblica. Due mesi prima, c’era stata una lettura su temi di genere presso la Biblioteca Nazionale intitolata Ni Una Menos. Abbiamo contattato le organizzatrici perché si unissero a noi e ci consentissero di utilizzare quel nome, ricevendo un’entusiasta adesione. E così ci siamo lanciate nell’avventura di organizzare una piazza, convinte che saremmo state 30-40 pazze a manifestare, urlando consegne con un megafono. Ma le reti sociali avevano fatto crescere l’iniziativa e cominciarono a piovere adesioni da gruppi di femministe, sindacati, movimenti sociali, associazioni per i diritti umani. E ancora sportive, attrici, scrittrici, vip. A un certo punto abbiamo capito che sarebbe arrivata molta gente, ma mai avremmo immaginato di vedere le 200.000 persone che ci siamo trovati davanti. Quel 3 giugno 2015 ha provocato una rivoluzione nella vita di ciascuna di noi. Io quando parlo di questo ancora mi commuovo, è stato uno dei momenti più importanti della mia vita. Ero su quel palcoscenico, sentendo che qualcosa si era svegliato in me per non addormentarsi mai più.

Un movimento diventato mondiale, che ha dato visibilità alla questione di genere. Quali pensi siano ora le prospettive?

In realtà il movimento c’era, non abbiamo di certo inventato il femminismo noi. Grazie alla lotta delle donne di altre generazioni io oggi posso scrivere, guidare una macchina, posso viaggiare senza che mi accompagni mio marito, posso votare e posso essere anche candidata a Presidente della repubblica. Quello che sta succedendo ora in molti paesi è che ci si abbraccia alle conquiste ottenute perché non vengano cancellate. Perché noi donne abbiamo lottato tutta la vita per ottenere diritti, ma anche quando li otteniamo, dobbiamo continuare a lottare perché non ci vengano tolti. Come nel caso dell’aborto nei paesi dov’è legale, come Spagna o Italia, e ci sono movimenti retrogradi che vorrebbero cancellare questa conquista. In America latina le lotte per conquistare questo diritto, che ci viene ancora negato, sono sempre più importanti. Oggi non si ha più vergogna di chiederlo ed è diventato una bandiera per diversi movimenti. Stiamo tentando di riconsegnare questa pratica medica, che avviene sul corpo delle donne, alla sovranità delle donne stesse, che devono poter decidere liberamente. Ma il nostro movimento non è solo questo: stiamo lottando per ottenere la parità dei salari rispetto agli uomini, ma anche per la parità nella politica e nei luoghi dove si prendono decisioni. In Argentina, fa impressione come ora nessuna si vergogni di definirsi “femminista”, quando fino a poco tempo fa era meglio tenerlo per sé. Io sono molto orgogliosa che mia figlia, che ha 20 anni, non veda alternative all’essere femminista. Non capisce come non si possa esserlo. E tutto questo è successo in pochissimo tempo. Credo che la rivoluzione delle donne sia arrivata per restare e che questo sia il nostro secolo. Tutto ciò che otterremo ora non potranno più togliercelo, perché stiamo lottando perché le nostre figlie e le nostre nipoti siano finalmente libere.

(Alfredo Somoza per © ClupGuide)