Luigi Vinci
Il quadro mediorientale ha preso da qualche settimana a cambiare tutta la sua parametratura; al tempo stesso le sue prospettive continuano ad apparire indeterminate. L’evoluzione di tale quadro ha il suo evento decisivo nella vittoria di Aleppo da parte del regime siriano, della Russia, dell’Iran e dei loro alleati minori. A essa ha corrisposto una serie di fatti politici di grande portata, su iniziativa della Russia. La capacità di iniziativa degli Stati Uniti, di converso, dato anche il risultato delle elezioni presidenziali, che già era debolissima e incoerente è precipitata a zero, essi sono stati addirittura esclusi da parte russa, finché sarà presidente Obama, dalla discussione in avvio sulle sorti politiche e istituzionali della Siria. Nuovi cambiamenti dell’intero quadro mediorientale, e non solo di esso, cominceremo a vederli a breve, a seguito dell’assunzione dei poteri presidenziali da parte di Trump; ma a questo riguardo non può al momento che operare la massima incertezza. Tristissimo il fine mandato di Obama, preso a sberleffi da Turchia e Israele, ex protettorati statunitensi. Gli Stati Uniti non sono mai stati maestri di politica internazionale, risolta da loro in genere con atti di guerra o pressioni più o meno brutali su governi stranieri o ingerenze nella situazione di altri stati o colpi di stato laddove si verificavano fatti che non gli andavano; e poi si sarebbe visto. Cessata la tendenza, almeno in parte, a questo tipo di “linea”, dati i disastri che combinato in crescendo, quel che abbiamo visto in questi anni accadere a opera degli Stati Uniti in Siria è il record mondiale della testa tra le nuvole, del velleitarismo e al tempo stesso dell’incoerenza della loro presidenza; una guerra civile, quella siriana, che poteva concludersi in sei mesi, massimo un anno, è stata trasformata in una guerra infinita dall’idea insensata di fare la guerra sia al regime siriano che a Daesh e senza mandare sul terreno un soldato. 10 milioni di siriani hanno dovuto trasformarsi in profughi e a centinaia di migliaia sono morti per effetto di ciò, ovvero delle pensate di Obama. E ora, alé, arriva Trump: che è amico di Putin, ma che ha idee opposte a quelle di Putin su Arabia Saudita, Qatar, Iran, Cina, Cuba. Si vedrà, che altro dire?
Il grande colpo politico realizzato da Putin riguarda l’avere sfilato quasi del tutto la Turchia dal quadro delle alleanze occidentali e, contemporaneamente, di averla portata a rettificare parte delle sue attività, delle sue pretese e dei suoi comportamenti, quanto meno sul versante siriano. Erdoğan ha dovuto accettare la permanenza al potere, almeno per un periodo, di Assad, smetterla di armare la ex Nusra, già sua creatura, portare a fondo il riciclaggio, sul territorio turco e su parte di quello siriano, di Daesh, trasformandone quasi tutte le forze in milizie con altro nome o in ausiliari del proprio esercito: avendo in cambio da Putin il rientro in campo mediorientale, dopo essersi trovata spiazzata e isolata, un avvio di relazioni economiche, prezioso dato il collasso del turismo e delle esportazioni alimentari, la realizzazione di centrali nucleari e di un sistema di oleodotti e gasdotti che recheranno petrolio e metano dall’Asia centrale e dal Caucaso in Europa.
Non solo, ed è questa la cosa di gran lunga più preoccupante: la Turchia avrebbe avuto in cambio l’esclusione del PYD curdo-siriano dalla discussione (dalle trattative) in avvio sulle sorti della Siria, inoltre la consegna a sé nella forma di “zona d’influenza” (di zona di occupazione militare? più che probabile) del nord della Siria (quasi tutto controllato dal PYD). Il condizionale qui usato è dovuto al fatto che la comunicazione in questione è venuta da parte turca e dell’Esercito Libero Siriano, oggi una succursale della Turchia, non anche da parte russa. Non ci sarebbe tuttavia di che sorprendersi se ciò fosse accertato e messo in pratica. Putin guarda al rilancio della Russia come superpotenza mondiale e all’isolamento internazionale degli Stati Uniti, Trump permettendo, o, meglio, punta a un periodo che vedrà la riapertura in forma nuova dei processi di un tempo di scontro-accordo tra Unione Sovietica e Stati Uniti; e va da sé che, data la mentalità storica degli autocrati russi, da Ivan il Terribile a Stalin, e data la dimensione degli obiettivi di Putin (l’alleanza o quasi con Cina, Turchia, Iran), la questione curda per Putin sia a metà tra una quisquilia e merce di scambio.
Un elemento di incertezza circa le prospettive mediorientali riguarda comunque ciò che faranno gli Stati Uniti in Siria. E’ difficile pensare, nonostante Trump, che essi accettino di essere tagliati fuori del tutto dagli sviluppi della situazione siriana. Un mezzo per tornare a contarci c’è, e da un pezzo: la richiesta statunitense formale al PYD curdo-siriano di procedere, cosa a cui è pronto da tempo, alla presa della “capitale” Raqqa di Daesh. Beninteso il PYD ciò farà se avrà verrà a disporre di un’effettiva e totale copertura da parte statunitense sul versante della minaccia militare turca, e se verrà dotato di un armamento pesante utilizzabile validamente anche sul versante turco: altrimenti il PYD continuerà a occuparsi dell’organizzazione della difesa del proprio territorio, già continuo oggetto di incursioni militari e di bombardamenti da parte turca. Ma se gli Stati Uniti opereranno in questo senso, ciò che avverrà sarà la consegna definitiva della Turchia alla Russia. Che cosa deciderà di fare Trump ecc.? Pure per il quale la questione curda è merce di scambio, inoltre tra i vari problemi che dovrà sollecitamente affrontare c’è indubbiamente la crisi dei rapporti tra Stati Uniti e Turchia, secondo esercito della NATO.
E quella meraviglia che è l’Unione Europea? C’è solo da ridere, o da piangere. Fatto il pateracchio con la Turchia sui profughi, guidata da venditori di tappeti stolidi e cinici come Merkel e Hollande, gestita sul piano della politica estera da una Mogherini che continua ad affermare che la Turchia ha pieno diritto di difendersi dai “terroristi” del PKK, senza così accorgersi di legittimare gli attacchi militari attuali e futuri della Turchia ai curdi siriani – fatto tale pateracchio continua a dormire il sonno del giusto.
Insomma, allarme rosso: la situazione dei curdi siriani è di estremo allarme e dobbiamo difenderli, per quel che possiamo.
Da essi viene la proposta all’intera Siria della sua trasformazione in una federazione democratica che riconosca a ogni gruppo etnico o religioso un largo autogoverno. Il tentativo è non solo quello della conquista di consenso largo nella popolazione siriana nel suo complesso, ma anche l’interlocuzione con il governo siriano: che certamente non può gradire che la Turchia occupi parte più o meno cospicua del nord della Siria. Questo governo tuttavia dipende in tutto dalla Russia, inoltre è l’espressione di una concezione settaria, nazionalista-araba e brutalmente autoritaria del potere. Anche a questo proposito, dunque, si vedrà, non è per niente chiaro come andrà.