Sinistra PD: tanto rumore per nulla?

di Alberto Burgio (fonte Il Manifesto)
Insomma, è proprio il caso di dirlo: molto rumore per nulla.
Dopo lo scontro sulla «riforma» del Senato, ora di nuovo, sul lavoro, la minoranza Pd inghiotte il rospo. La sinistra interna (3 eccezioni su 26 confermano la regola) si è piegata al ricatto della fiducia. Come se un ricatto costituisse un alibi, come se la debolezza fosse una ragione. Ma se lo scorso agosto si trattò forse di un imprevisto, adesso siamo a un copione sperimentato, del resto con¬forme alla sortita di Bersani di qualche giorno fa. L’avviso sulla lealtà alla «ditta» – peraltro ribadito anche da ultimo – non fu dunque una voce dal sen fuggita, ma il previdente annuncio di quanto era già intuito, assunto, metabolizzato.
È stata una scelta grave in un passaggio strategico. Renzi ha aperto la guerra interna nel Pd su materie cruciali. La modifica della Camera Alta stravolge l’architettura costituzionale e mina alle fondamenta la rappresentanza democratica, alterando la natura dello Stato. L’attacco ai diritti essenziali del lavoro subordinato colpisce il cardine della Repubblica antifascista, oltre che la ragion d’essere di una sinistra che possa legittimamente dirsi tale. Non si tratta di scelte improvvisate, e non è casuale che su questi terreni il «capo del governo» abbia deciso di giocarsi la partita. Sfondando sulla divisione dei poteri e sui diritti del lavoro, mortificando il dissenso e sfottendo le organizzazioni sindacali, Renzi intende mostrarsi in grado di guidare il «cambiamento»: di svuotare la Costituzione del ’48 e di varare una nuova forma di governo funzionale alla sovranità del capitale privato.
Solo chi avesse perso qualsiasi capacità di giudizio potrebbe sottovalutare la gravità di quanto accade. Nel giro di pochi mesi viene prendendo vita un regime autoritario nel quale il capo della fazione pre¬va¬lente potrà controllare tutti gli snodi della decisione politica. E si viene regredendo verso un’oligarchia neofeudale in cui il lavoro è senza garanzie, precarizzato nella radice del rapporto contrattuale, quindi ricattabile in ogni momento e destinato a salari sempre più bassi. Nem¬meno manca, per i palati più esigenti, il grazioso sarcasmo delle «tutele crescenti».
In tale scenario non incombe sui parlamentari democratici alcun vincolo politico o morale di lealtà verso il partito e il gruppo, né, tanto meno, verso l’esecutivo.
Non solo perché – anche grazie alla comprovata obbedienza dei dissidenti – il Pd è diven¬tato un partito personale, comandato col ricatto, il dileggio, l’insulto. Non solo per¬ché ogni vin¬colo viene meno quando sono tra¬volti prin¬cipi fon¬da¬men¬tali della Carta e per¬ché, chie¬dendo la fidu¬cia su una delega in bianco («inde¬fi¬nita e sfug¬gente nei cri¬teri», nota la Cgil), il governo ha vio¬lato la Costi¬tu¬zione (e di ciò il pre¬si¬dente della Repub¬blica dovrebbe tener conto, invece di lasciarsi andare a impro¬pri apprez¬za¬menti del Jobs Act). Cia¬scun par¬la¬men¬tare del Pd ha il diritto e il dovere di deci¬dere in piena auto¬no¬mia anche per¬ché il governo pro¬cede rove¬sciando di sana pianta il pro¬gramma in base al quale i par¬la¬men¬tari demo¬cra¬tici sono stati eletti. Un tale governo non va pre¬ser¬vato. Va con¬tra¬stato e fatto cadere al più pre¬sto, impe¬gnan¬dosi affin¬ché il paese imboc¬chi la strada della riscossa democratica.
Dire, com’è stato detto, che negare la fidu¬cia sarebbe stato «irre¬spon¬sa¬bile» per¬ché la scelta sarebbe tra Renzi e la Troika è sol¬tanto un modo per nascon¬dere la realtà. Non solo que¬sto governo si attiene in toto ai det¬tami di Washing¬ton, Bru¬xel¬les e Fran¬co¬forte (o qual¬cuno si mera¬vi-glia per la sod¬di¬sfa¬zione di Dra¬ghi e della Mer¬kel?). Lo fa, per di più, impe¬dendo alla gente di capire e di sot¬trarsi alla morsa del nuovo regime che sof¬foca il paese. Se una poli¬tica di destra è fatta da un par¬tito che si dichiara, almeno in parte, di sini¬stra, che senso hanno ancora que¬ste vetu¬ste parole, e come si può pen¬sare di poter cam¬biare rotta?
Ma allora per¬ché, ancora una volta, que¬sto cedi¬mento, che, come ognuno vede, demo¬li¬sce la cre¬di¬bi¬lità della sini¬stra demo¬cra¬tica? Per¬ché que¬sta obbe¬dienza che rischia di ridurre il dis¬senso interno a una farsa; che induce a par¬lare di tra¬di¬mento del man¬dato par¬la¬men¬tare (que¬sto ha detto in sostanza il sena¬tore Tocci inter¬ve¬nendo in aula); che rende la mino¬ranza com¬plice del nuovo padrone del Pd, al quale non solo è offerta una pre¬ziosa san¬zione di onni¬po¬tenza (delle sue sprez¬zanti rispo¬ste alle timide richie¬ste di modi¬fica della delega resterà memo¬ria), ma è anche con¬cessa gra¬tis l’opportunità di esi¬bire, quando serve, una patente con¬traf¬fatta di sini-stra? Si può ter¬gi¬ver¬sare e pre¬di¬care cau¬tela, pur di sot¬trarsi al giu¬di¬zio. Si può tacere, augu¬ran-dosi di limi¬tare il danno o di pro¬pi¬ziare svi¬luppi posi¬tivi. Ci si illude. Da sé le cose non cam¬bie-ranno certo in meglio. Noi stiamo piut¬to¬sto con il segre¬ta¬rio gene¬rale della Fiom che arri¬schia un giu¬di¬zio duris¬simo (votare la fidu¬cia serve a «difen¬dere le pol¬trone») e ne trae le dovute con¬clu-sioni («di un par¬la¬mento così non sap¬piamo che farci»).
Non¬di¬meno, siamo tra i testardi che pen¬sano che in poli¬tica non si è mai all’ultima spiag¬gia e che nes¬sun fran¬gente, per quanto grave, è irre¬pa¬ra¬bile e defi¬ni¬tivo. Anche in que¬sto caso, nono¬stante tutto, sta¬remo a vedere come andrà avanti que¬sta sto¬ria e come si con¬clu¬derà. Sen¬tiamo che alcuni dis¬si¬denti saranno il piazza con la Cgil il 25 otto¬bre. E che un espo¬nente della mino¬ranza del Pd, l’onorevole D’Attorre, annun¬cia bat¬ta¬glia sul Jobs Act alla Camera, defi¬nendo «inac¬cet¬ta-bile» che anche in quella sede il governo ponga la fidu¬cia. Ne pren¬diamo atto. Osser¬vando che, se le parole hanno ancora un valore, que¬ste equi¬val¬gono a pro¬met¬tere che, in tale non impro¬ba-bile eve¬nienza, la sini¬stra del Pd arri¬verà final¬mente a quella rot¬tura che non ha sin qui nem¬meno ven¬ti¬lato. Vedremo.
Intanto resta che viviamo giorni cupi, gra¬vidi di peri¬coli, forieri di nuove vio¬lenze e di più gravi ingiu¬sti¬zie. Giorni che get¬tano nuove inquie¬tanti ombre sul futuro di que¬sta Repubblica.