Un sindaco gaio, il Pride di Roma comincia qui
Lgbtqi. L’Onda dell’orgoglio omosessuale e trans comincia dalla Capitale. Duecentomila persone invadono la città: «Diritti, matrimoni gay e norme contro l’omofobia».
Ci hanno messo la faccia e pure i corpi. Diciassette per l’esattezza. Un po’ troppo sobri, forse, per il gran carnevale che sfila sui carri come ogni anno e invade le strade della capitale, ma l’effetto dei quindici presidenti di municipio con le loro fasce giallorosse, incordonati al sindaco Ignazio Marino e al suo vice Luigi Nieri in apertura della parata, tra le bandiere sventolanti degli atei dell’Uaar e del Circolo Mario Mieli, vale tutto il Pride. Sono loro, per una volta, l’orgoglio di una città finalmente normale.
Ci sono voluti vent’anni per ottenere qualcosa che nel mondo evoluto è già archeologia. Un anno fa Marino, appena eletto, non se la sentì di sfidare quella parte di elettorato cattolico benpensante e un po’ omofobico che pure lo aveva sostenuto, e disertò un appuntamento mondiale in difesa dei diritti civili universali che negli Stati uniti, dove il sindaco ha vissuto a lungo, porta a sfilare perfino interi corpi di polizia, travestiti e festanti per l’occasione. Una presenza «molto importante perché il sindaco Ignazio Marino oggi rappresenta tutta la città», commenta Andrea Maccarrone – portavoce della prima delle tredici parate dell’Onda Pride che quest’anno attraverserà l’Italia fino al 19 luglio sostituendo l’edizione nazionale – che ricorda: «L’unica volta precedente era stato nel 1994, alla prima edizione del Roma Pride, quando Francesco Rutelli (che allora era ancora iscritto al partito Radicale, ndr) scese dal Campidoglio e raggiunse il corteo».
«Una festa ma anche una manifestazione arrabbiata», spiegano gli organizzatori dietro lo striscione di apertura, «Adesso fuori i diritti». L’assenza di un governo che, forte del suo 41% appena incassato, potrebbe permettersi un po’ di pedagogia senza delegarla solo alla Rai, è insopportabile. «C’è tanto da fare ancora per conquistare i nostri diritti — continua Maccarrone — Le unioni civili servono per tutti ma noi miriamo ai matrimonio egualitari, alla piena uguaglianza, a leggi a tutela delle nostre famiglie e dei nostri figli, a leggi per le persone trans. Il governo è indietro rispetto a questi temi: non ha ancora nominato nemmeno un ministro per le pari opportunità e ha bloccato di fatto il contrasto al bullismo omofobico nelle scuole». Ed ecco, tra le decine di migliaia di persone (200 mila secondo gli organizzatori) e i 25 Tir sound system che sfilano per l’orgoglio Lgbtqi, un carro funebre come rappresentazione allegorica della morte della democrazia: «Qui giace l’amor senza diritto». «Renzi dichiara: no ai matrimoni gay e alle adozioni. Grazie Pd», recita il manifesto funebre. La faccia, Matteo, non ce l’ha messa. Peccato, avrebbe fatto una bella figura con quei colori sul viso, come nella campagna «Ci vediamo fuori» a cui ha aderito Nichi Vendola. Lui, il leader di Sel, nel corteo c’è, col suo compagno. «In Italia bisogna superare questa cappa di oscurantismo e ipocrisia che in questi anni ci ha impedito di fare i conti con la modernità e la soggettività – dichiara il governatore della Puglia — Chiediamo al governo in carica di non fare la danza del rinvio e a non giocare a rimpicciolire ciò che appartiene alla sacralità dei diritti».
È l’ex presidente del Pd, Gianni Cuperlo, che sfila nel corteo, a richiamare il suo partito, «il governo e il parlamento, naturalmente», ad avere «più coraggio». «Abbiamo due traguardi che dobbiamo tagliare — ricorda Cuperlo – completare l’iter della legge contro l’omofobia, che è ferma al Senato, anche migliorandola; e una legge sulle unioni civili, che è un impegno che ci siamo assunti in campagna elettorale e che adesso va mantenuto». Anche Marino fa la sua parte: «Subito dopo il voto sul bilancio calendarizzeremo in Consiglio comunale la delibera sulle unioni civili – promette il sindaco – ma non è sufficiente. Dobbiamo spingere sul parlamento affinché l’Italia superi questa vergogna di essere rimasta indietro rispetto al resto dell’Unione Europea». Ma Fabrizio Marrazzo, portavoce di Gay Center, lo incalza: «Se Roma avrà il registro delle unioni civili, Marino dovrebbe fare da subito un gesto simbolico e celebrare un matrimonio gay. Magari in piazza Montecitorio. Dalla capitale può partire una grande battaglia per avere finalmente una legge». E arrivare così al semestre di presidenza europea con la dignità di un Paese civile.
fote: il Manifesto
http://ilmanifesto.info/un-sindaco-gaio-il-pride-comincia-qui/