Il DM 24 CFU, emanato il 10 agosto dal MIUR, è l’ennesima presa in giro ai danni di una generazione, quella dei neolaureati, già ampiamente vessata su più fronti. Questo decreto (anticipato prima dalla Buona Scuola, poi dal D.L. 59/2017) prevede che, per partecipare al nuovo concorso FIT (percorso di formazione iniziale, tirocinio e inserimento nella funzione di docente) abilitante all’insegnamento, i candidati posseggano come prerequisito almeno 24 Crediti Formativi Universitari afferenti alle discipline antropo-psico-pedagogiche: la “novità” sarebbe stata introdotta – a detta di chi la Buona Scuola l’ha scritta (Partito Democratico in testa)-, per risolvere l’annoso problema della didattica, ovvero far sì che i futuri insegnanti acquisiscano abilità legate all’insegnamento e, più in generale, allo stare in classe. Ebbene, con il DM 24 CFU pubblicato pochi giorni fa la ministra Fedeli traccia le regole mediante le quali questi 24 crediti possono essere acquisiti: si tratta di un atto legislativo profondamente ingiusto, da più punti di vista.
Va innanzitutto premesso che il provvedimento è del tutto inutile. Al di là del fatto che il percorso FIT già prevede un primo anno interamente dedicato allo studio delle discipline legate alla didattica, alla psicologia e alla pedagogia (con tanto di prova finale), i settori scientifico-disciplinari individuati nel decreto comprendono al loro interno discipline che nulla hanno a che fare con la didattica (si passa dall’esame di “Storia delle tradizioni enogastronomiche” a quello di “Fondamenti d’infermieristica”). Contrariamente a quanto annunciato dai promotori della Buona Scuola, l’obbligo degli studenti ad acquisire crediti che nulla hanno a che fare con le discipline che andranno a insegnare andrà sicuramente a discapito della preparazione dei futuri insegnanti, che durante il loro percorso universitario opteranno inevitabilmente per gli esami antropo-psico-pedagogici necessari per partecipare al concorso, piuttosto che approfondire le materie delle singole classi concorsuali.
All’inutilità del decreto si aggiungono anche fortissimi elementi di ingiustizia sociale. Il DM è retroattivo, dunque riguarda anche coloro che hanno già terminato il percorso universitario e che si sono iscritti ad esso con altre regole, ovvero con la convinzione che avrebbero potuto partecipare ai concorsi abilitanti previo il solo possesso dei crediti disciplinari indicati dalle tabelle ministeriali per ciascuna classe. Ciò significa che, mentre gli studenti ancora iscritti non dovranno pagare per sostenere questi esami aggiuntivi, i neolaureati dovranno invece sostenere interamente i costi per l’acquisizione dei CFU. In riferimento a ciò, è ridicolo che i promotori del decreto si pregino di aver stabilito un massimale di 500,00 euro per l’erogazione di questi esami, quando mediamente gli Atenei richiedono una somma inferiore per il sostenimento di 24 crediti attraverso corsi singoli (ad esempio l’Università di Bari 210 €, quella di Palermo 290 €, Roma Tre 300 €, Milano, Verona e Padova 400€ c.a.). Il massimale è peraltro valido per le sole istituzioni statali, dunque quelle private potranno continuare a proporre i loro “pacchetti” d’esami da diverse migliaia di euro in tutta tranquillità, come abbiamo visto accadere negli scorsi mesi (mentre la possibilità di ottenere 12 dei 24 CFU in via telematica è un palese regalo alle università on-line).
Gli scopi reali del DM 24 CFU varato dal Partito Democratico sono insomma fin troppo evidenti: promuovere un’inconsistente propaganda elettorale sul tema della didattica, scoraggiare la partecipazione ai concorsi – riducendo la platea degli abilitati – e fare cassa. Il problema è che tutto questo viene fatto sulla pelle dei neolaureati, già ampiamente massacrati da un Paese in cui diritto allo studio e diritto al lavoro non esistono; un esercito di giovani uomini e donne precari, a cui il sistema universitario ha richiesto tanto in termini di sforzo economico e promesso altrettanto, e che oggi si destreggiano tra stage e tirocini gratuiti, i più fortunati in rapporti di lavoro occasionale a 4 o 5 € l’ora.
Si tratta, insomma, dell’ennesima ingiustizia prodotta dalla Buona Scuola che è necessario revisionare completamente.
Maria Giovanna Sandri