DAL PORTALE DEL CITTADINO del comune di Sesto San Giovanni riportiamo questo interessante contributo scritto da Frando Gottardi per la rassegna “Nonni per L’Unesco”
Non so esattamente chi è stato, ma qualcuno un giorno mi ha detto che un ricordo spesso, se non convalidato da documentazione, è inquinato dai sogni, ma qualcun altro mi ha anche detto che senza sogni non si progredisce. Allora ricordiamo e sogniamo. Per un sestese che fosse venuto ad abitare negli ultimi dieci anni in città un titolo del genere non potrebbe che rammentare i problemi di inquinamento della falda freatica o al massimo i problemi relatvi agli allagamenti del sottopasso Garibaldi. Il fatto è che mi sto riferendo ad un tempo un po’ più remoto, mi sto riferendo al periodo che ha condizionato la storia dell’industria di Sesto San Giovanni e cioè agli ultimi anni dell’ottocento e ai primi del novecento periodo nel quale inizia la trasformazione di Sesto da piccolo borgo agricolo verso la più grande città industriale dell’Europa moderna. Si sono spesso ricordati, nelle varie pubblicazioni che spiegano le motivazioni che hanno spinto molte industrie ad orientarsi verso il territorio di Sesto San Giovanni come sede dei loro insediamenti produttivi, i perché della scelta, ma non si è quasi mai accennato che una delle cause che hanno indirizzato queste decisioni è la caratteristica idrogeologica del nostro territorio. Sesto si colloca pochi chilometri a sud di quella che i geologi definiscono la linea delle risorgive che si estende in maniera quasi continua da Torino a Trieste, e che per i territori più prossimi al nostro comune passava per la media Brianza. Le risorgive e i fontanili che da esse derivano sono state la peculiarità dell’economia agricola del nord Italia fornendo acqua in abbondanza per le coltivazioni ed in particolare per le marcite e le risaie.
Anche a Sesto numerose erano le polle dovute alle risorgive e i fontanili, e la ricchezza della falda era testimoniata dalla loro presenza e questa ricchezza ha richiamato molte realtà produttive sul nostro territorio, in particolare le due grosse industrie siderurgiche delle Falck e della Breda. La facilità di prelievo e la legislazione che ne regolava il prelievo e forse anche un po’ di faciloneria e scarsa conoscenza dei pericoli ai quali si andava incontro hanno fatto sì che la falda acquifera prima si abbassasse e poi a causa degli scarichi non controllati si inquinasse.
Ricordo che da ragazzino (anni 1940-50) in quella che oggi è via Pisa, allora poco più di un sentiero, vi erano due risorgive con un fontanile che scaricava nel Lambro. Si andavano a raccogliere le sanguisughe (sanguette), che ancora nella medicina popolare erano un medicamento in uso. In questi luoghi nidificavano ancora sia il martin pescatore che il merlo acquaiolo (culbianco). Altre risorgive ricordo di averle notate nella parte più lontana da Cascina Gatti della via Molino Tuono dove nei terreni che separavano questa zona da Crescenzago vi era una campagna denominata “sette laghetti” solcata da molti canali che i ragazzini erano soliti frequentare per fare il bagno nelle giornate estive. In via general Cantore, subito dopo il villaggio Diaz (villaggio bianco) gli scavi per il prelievo della terra argillosa utilizzata dalla fornace della Falck avevano lasciato una depressione profonda alcuni metri, non più di tre, sul fondo della quale trafilava la falda superficiale dando così luogo a due laghetti, i due laghetti, appunto, dove noi bambini andavamo a pescare. I ricordi mi portano anche a citare un canale, molto più lontano, fuori dal territorio che le cure materne ci consentivano di esplorare, precisamente in viale Casiraghi all’altezza di una nota fabbrica di pompe sestese, ma sul lato opposto, credo una diramazione del canale Villoresi, meta molto ambita per i bagni nelle giornate estive.
Molto probabilmente le realtà d’acqua in Sesto erano molto più numerose, ma non essendoci dei riscontri documentali, ho riportato sono quelle che la mia esperienza di ragazzino mi ha portato a conoscere. Vi ho raccontato tutto questo per avvalorare la tesi di Sesto città d’acqua.
Sono perfettamente a conoscenza che le prime società di produzione di apparecchi di sollevamento per l’acqua che sono comparse a Sesto entrambe nel 1905 si sono trasferite qui provenendo da Milano per motivi esclusivamente economici: costo dei terreni, reperimento di manodopera, collegamenti stradali e ferroviari. Ma mi piace altresì pensare o ricordare o sognare che l’acqua presente a Sesto sia stata la calamita che le ha attratte qui. Queste due ditte sono precisamente la Ercole Marelli, fondata nel 1991 in Milano per produrre apparecchi elettromedicali e ventilatori che si trasferì a Sesto nel 1905 iniziandovi la produzione di elettropompe e la Pompe Gabbioneta fondata anch’essa a Milano per produrre pompe per acqua e che nel 1905 trasferì la produzione Sesto, dove tuttora si trova anche se con ragione sociale di Weir Gabbioneta. Mentre la Ercole Marelli ha cessato l’attività: nel 1981 viene messa in liquidazione e nel 1993 assorbita dal gruppo Firema. Nel 1906 nasce sempre a Sesto la Biraghi pompe. La presenza sul territorio di tre industrie del settore non poteva, nel tempo, che portare alla nascita di altre realtà. Negli anni venti e trenta nascono due industrie la Fabbrica Italiana Pompe fondata da un tecnico delle Pompe Gabbioneta e la Elettromeccanica Arduini fondata da un tecnico della Ercole Marelli. Il fatto che le sedi della Ercole Marelli, della Pompe Gabbioneta, della FIP, della Arduini, della Biraghi pompe e proseguendo, anche se non più sul territorio sestese, della Rotos e della Aturia, altre ditte del settore, si trovino su una linea ideale che va dalla nostra città lungo viale Casiraghi, viale Marelli e poi viale Monza, mi fa sognare – con piacere – che si trovino lungo un ideale e lineare percorso fluviale che le ha costantemente unite nel tema dell’acqua. Mi sono sempre chiesto perché Sesto San Giovanni, per me città dell’acqua, abbia sempre sfruttato in modo molto limitato e spesso poco visibile la possibilità dell’acqua come elemento di abbellimento dell’ambiente urbano. Sembra che negli ultimissimi tempi l’amministrazione comunale abbia letto nel mio pensiero, rimpinguando lo scarso e troppo spesso dimenticato corredo delle fontane cittadine. Ora sono quattro. La più vecchia è quella dei giardini della villa Zorn, negli anni trenta posta in piazza Trento Trieste, poi smontata, per dimenticare un periodo politico non esaltante della nostra storia del quale portava i simboli in rilievo. A me è molto cara perché divenuta centro dei miei giochi di bambino. Cancellati i simboli che portava fu posizionata nei giardini e dopo un periodo di trascuratezza è stata finalmente ripulita e resa più gradevole. Le altre tre sono la fontana del drago nei giardini di via XX settembre, la fontana delle tartarughe in largo Lamarmora a ricordare la vasca delle tartarughe davanti alla villa Mylius, una volta sede della polizia locale, e la fontana del Rondò dello scultore Schiavocampo appena riposizionata al centro della piazza.