SESTO: UNA MOSTRA PER SESTO DI UN ARTISTA DI SESTO CHE PARLA DI SESTO

NOSTRO SERVIZIO.

Forse ho sbagliato titolo. Perché i quadri di Paolo Sangalli non parlano solo di Sesto San Giovanni ma hanno un respiro che va ben oltre, e in tutti i sensi, i confini di una città. Però sarebbe un peccato, se abitate a Sesto o dintorni, non andare a vedere questa esposizione (“EX”, un titolo perfetto per significanza e per laconicità) annidata con bell’allestimento in una sala in fondo alla Villa Puricelli Guerra, dove le opere del tutto contemporanee e un po’ cupe di Sangalli si ambientano con suggestiva naturalezza in una sala dalle ampie vetrate neogotiche affacciate su un giardino rigogliosamente primaverile.

Perché Paolo, oltre ad essere un nostro concittadino da lunga data, è un artista vero, dalla visione e dalla tecnica mature e sicure di sé, e perché la sua arte ha qualcosa da dire a ciascuno di noi.

Paolo conosce sicuramente l’arte contemporanea più grande, di cui si coglie qualche eco, da Rauschenberg a Burri, ma trascende i riferimenti fino ad arrivare, attraverso la propria biografia, la propria sensibilità e la propria ricerca artistica, ad una poetica e ad un segno originali e personali, dove l’astrazione e l’informalità non escludono mai la godibilità del segno e della composizione.

Stampe fotografiche su tela, collage, pittura, manipolazioni concorrono ad evocare i paesaggi di Sangalli, dominati in genere da tinte brune o ocra, con sprazzi di rosso, dove si intravedono o si intuiscono edifici o manufatti industriali (una ciminiera, un capannone, un trasformatore, un groviglio di tondini di metallo), qualche lettera, qualche cifra.

Dall’assedio della materia e dal gesto informale emergono quasi a fatica paesaggi che sono oltre che post-industriali, sono post-umani. La figurazione umana è del tutto assente; rimangono tracce di un suo passato, di una sua non scontata presenza, in macchine, costruzioni, oggetti di cui ormai si fatica a comprendere origine, funzioni, senso. Quello che c’è di più umano, il linguaggio, è disarticolato, frammentato in pochi segni ermetici (che spesso danno titolo alle opere) che non comunicano più nulla, se non l’impotenza a dare un senso compiuto al discorso.

L’arte di Paolo è una sorta di archeologia che contempla reperti di un passato lontano, ma che non possiede più gli strumenti per la sua comprensione; che conserva i cocci del suo alfabeto ma che non ha più, o non ancora, scoperto una tavola di comparazione che gli permetta di interpretarne il linguaggio perduto. La materia (come una natura corrotta eppure insopprimibile, leopardianamente indifferente alle sorti umane), si riappropria dello spazio, assedia le sopravvivenze di una figurazione minacciata di estinzione, si richiude su brandelli di immagini ancora a stento leggibili. Le tele non parlano, ma balbettano poche lettere letteralmente sconnesse, in un linguaggio regredito all’infanzia, o sprofondato in una senescenza irrimediabile.

Una dolorosa afasia delle immagini e dell’artista che pure ostinatamente comunica, al di là della suggestiva desolazione di un paesaggio disertato, l’insopprimibile, lirica nostalgia per un umanesimo perduto.

La mostra è visitabile sino al 24 aprile; indirizzo ed orari su www.sestosg.net

Mauro Caron

LEGGI NOSTRO PRECEDENTE POST SULL’INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA