Condanna pesante quella stabilita dalla Corte dei Conti per l’ex assessore socialista della Giunta Oldrini Pasqualino Di Leva: 316.800 euro più interessi ed oneri legali.
Per ricostruire la vicenda può essere utile la lettura di questa pagina tratta dal libro “Sistema Sesto” di Orazio La Corte e Giuseppe Fabbri.
“Pasqualino Di Leva, figura chiave della Sesto San Giovanni dell’ultimo trentennio, assessore e vicesindaco a partire dal 1985 con Fiorenza Bassoli, ritorna in auge (2002-2011) con Giorgio Oldrini, dal quale ottiene una delega amplissima: società ed enti partecipati dal Comune, commercio, cimiteri, bilancio ed edilizia privata. Si dimette il 21 luglio 2011 investito dalle indagini sul Sistema Sesto. Patteggia una pena di 1 anno e 8 mesi di reclusione con la condizionale e 100 mila euro di restituzione per corruzione insieme agli altri suoi due sodali della cricca sestese delle concessioni edilizie, Nicoletta Sostaro, geometra responsabile dello Sportello Unico dell’Edilizia, e l’architetto Marco Magni, che a Sesto, negli anni di Di Leva, occupando pure il posto di commissario edilizio nella Commissione Urbanistica, progettava palazzi, calcolando nei costi gli “oneri conglobati”, cioè, secondo i pm, le tangenti per l’assessore amico.
Nato a Torre Annunziata nel ‘51, sestese fin da ragazzino, dove inizia gli studi di perito chimico, dipendente Enel, rappresentante sindacale Cgil, sale di livello soprattutto dopo essere nominato assessore al comune di Sesto ai tempi di Fiorenza Bassoli. A modo suo uomo colto, Di Leva unisce un’indubbia conoscenza della macchina amministrativa a capacità dialettiche spiccate e variopinte. È anch’egli migliorista e molti a Sesto San Giovanni lo ricordano come ‘o guaglione: impertinente, ilare, la battuta sempre pronta. Diventa tuttavia minaccioso e aggressivo all’occorrenza. È facile all’ira e all’arroganza. Verdi e ambientalisti locali negli anni ’80 e ’90 lo battezzano “Cementino Ci Leva”, in particolare quando fu ridotto il verde su uno dei pochi parchi cittadini per farci il Palasesto (edificio investito poi dalle indagini sul Sistema Sesto in quanto Oldrini, secondo Pasini, avrebbe chiesto al costruttore di accollarsi parti del mutuo per trasformarlo in Palaghiaccio). Giornalisti non proni, perfino preti, vengono apertamente convocati in Comune e messi in riga. Nella palude di personalità e valore delle compagini amministrative di Giorgio Oldrini, negli anni 2002-2011, spicca tuttavia come un colosso. Non nasconde del resto ambizioni da sindaco scrivendo, lui assessore all’edilizia privata e al bilancio, d’ogni argomento politico ed economico sui giornali di proprietà del maggior costruttore, e forse contribuente, cittadino, Edoardo Caltagirone.
Iscritto alla Fgci, nel 1975 diventa consigliere comunale e poi assessore nel 1980, vice sindaco e assessore nel 1985 nella giunta monocolore Bassoli, poi nel 1992 lascia il Pci, come altri della corrente mi-gliorista a Milano, accolto a braccia aperta dall’ex sindaco milanese Tognoli, all’epoca consigliere comunale sestese. Finché Oldrini, nel 2002 incoronato a primo cittadino, lo recupera alla politica amministrativa dopo un decennio: sarà la seconda, grande stagione di Di Leva, favorita certamente da un 8% di voti molto difficile da spiegare, forse per la vicinanza al simbolo del partito del sindaco, a vantaggio del suo Psi. Infatti l’anno seguente alle elezioni provinciali, lo stesso partito di Di Leva a Sesto arriverà intorno all’1%. Nelle giunte Oldrini, Di Leva diventa una figura cruciale: è assessore al Bilancio e alle Partecipate e all’edilizia privata, e insieme a diversi iscritti del Psi che lo seguono parteciperà alla formazione del Partito Democratico a livello locale, giustificando l’anomalia come un esperimento nazionale.
Tanto è forte il legame col suo assessore di punta, che Oldrini lo difenderà a spada tratta nel gennaio 2009, quando sarà diffuso il dossier anonimo “Il Patto della Concordia”: una ventina di pagine con articoli firmati, visure camerali e altri segreti di Pulcinella narranti fatti e notizie stranoti in città da almeno un paio d’anni, i cui piatti forti sono rappresentati dai rapporti societari e di lavoro tra Marco Magni e la figlia di Pa-squalino, e il ruolo del primo in città come progettista e impresario edile, oltre che commissario edilizio. Oldrini porrà il veto alla discussione del documento in Consiglio Comunale. Ci vorranno pertanto un paio d’anni ancora per interrompere la corsa di Pasqualino.
Ma ancora il sindaco sarà al suo fianco quando un pomeriggio di un caldo giorno di luglio la bomba dell’inchiesta scoppierà sulla testa dell’assessore e ad agosto si apriranno per lui, con la moglie in lacrime, le porte del carcere. «Di Leva lo conosco da quando aveva 16 anni», lo difende Oldrini. «Lui e la moglie si danno da fare da una vita. Hanno una casa in affitto in una cooperativa, una figlia con un contrattino di lavoro da Co.Co.Co. e una macchina più scassata della mia. (…) Che sia un napoletano verace e caciarone che scrive sui giornali locali è vero, ma di qui a dire che ha rubato ne passa. E non poco». Contatti ambigui con imprenditori? «Ma noi qui ci conosciamo tutti. Vedo situazioni normali, senza eccessi. Vacanze normali. Auto normali. Mogli e famiglie normali». Totalmente ignaro, Oldrini, del “sistema di corruzioni” che ha contraddistinto per lungo tempo la gestione della cosa pubblica da parte di alcuni pubblici amministratori della sua città alla base della richiesta di arresto da parte del Gip di Monza Anna Magelli. Ignaro del “flusso costante di soldi, che serviva a oliare la macchina burocratica in tema di concessioni edilizie”. Ignaro della “spiccata capacità a delinquere e della pericolosità sociale” del suo assessore e dei suoi due sodali Magni e Sostaro.
Gli investigatori trovano nel conto di Di Leva e moglie un tesoretto, 415 mila euro, non giustificato né da prestazioni professionali, né da un’eredità, ma, risponde l’assessore, sono «tutte somme lecite e docu-mentate da bonifici e ricevute. Io sono un vecchio comunista e non ho mai preso tangenti». Mai ricevuto soldi da Di Caterina, da Pasini o da altri imprenditori. Accuse false, le loro, derivanti da pregresso livore. E i soldi? L’avvocato che lo difende chiarisce che circa 350 mila euro sono rappresentati dal tfr, dal fondo pensione e da una sorta di buonuscita (circa 140 mila euro) da parte di Enel.
In carcere (dove starà fino allo scadere dei termini, il 21 novembre 2011), Di Leva legge e scrive «la mia vita romanzata, un progetto che era cominciato mesi fa e che adesso occupa quasi tutto il mio tempo. Non ho il computer, ogni giorno riempio decine e decine di fogli a mano. Per carità, niente di autocelebrativo, tutti i fatti, compresa questa tegola, sono riportati con grande ironia. La melassa non fa per me, neppure adesso. Scrivo alla mia famiglia, ma neanche in quelle lettere riesco a essere sdolcinato. Non è nel mio stile». Dopotutto, nella pena patteggiata non figura l’interdizione dai pubblici uffici: Pasqualino potrebbe quindi ritornare, ne avrebbe capacità e risorse, per la terza volta…”