(ansa) – immagine tratta da La Repubblica
Senza pensione e senza lavoro, il dramma della generazione 80
marzo l’occupazione è ripartita per tutti tranne che per la classe dei giovani tra i 25 e i 34 anni: quella che rischia di dover stare in fabbrica – o in ufficio – fino a 75 anni. Il 12,9% della “generazione più istruita di sempre” non trova impiego. Il 57,5% dei laureati trova lavoro in tre anni, peggio solo la Grecia
di GIULIANO BALESTRERI
MILANO – Senza pensione, ma anche senza lavoro. La generazione 1980, quella che il presidente della Bce, Mario Draghi, ha definito la “più istruita di sempre”, rischia di essere perduta definitivamente. L’Istat conferma i temuti calcoli dell’Inps secondo cui per un lavoratore tipo nato tra il 1980 e il 1990 c’è “una discontinuità contributiva, legata probabilmente a episodi di disoccupazione, di circa due anni”. Un buco destinato a pesare sul raggiungimento delle pensioni, che a seconda del prolungamento dell’interruzione può slittare “fino anche a 75 anni”.
La criticità della situazione è messa nero su bianco proprio dall’Istat che a marzo ha sì rilevato una ripresa del mercato del lavoro con il tasso di disoccupazione calato sui minimi da dicembre 2012, ma ha anche evidenziato un’occupazione sempre più a macchia di leopardo che premia le classi più mature, dai 50 in sù, a discapito di quelle più giovani. Basti pensare che la fascia dei lavoratori più “anziani” è quella che ha generato la maggior parte del rialzo dell’occupazione nel corso del 2015 con un tempo medio di ricollocazione che – secondo il Report 2015 di Uomo e Impresa – è sceso dai 5,8 mesi del 2014 ai 4,8 dello scorso anno. Il tutto proprio a discapito dei più giovani. Secondo Eurostat, invece, la percentuale dei laureati italiani under 35 che trova lavoro entro i tre anni dal titolo cresce nel 2015 al 57,5%, ma il Belpaese resta penultimo in Ue in questa graduatoria, meglio della sola Grecia.
D’altra parte i lavoratori che rientrano nel circuito professionale in età avanzata sono disposti a scendere a compromessi ed accettare stipendi inferiori, abbassando il valore economico della loro nuova posizione lavorativa, perché sono molto vicini alla pensione. E alle aziende che dopo il Jobs Act e grazie alla decontribuzione sono tornate ad assumere non sembra vero di poter impiegare un lavoratore “senior”, con esperienza e a basso costo.
Il risultato emerge chiaro dalle ultime rilevazioni Istat: nella classe di età 25-34 anni si registra a marzo un calo del tasso di occupazione e di quello di inattività pari a 0,1 punti percentuali, mentre il tasso di disoccupazione sale di 0,4 punti. Peggio: nella classe di riferimento il tasso dei senza lavoro è al 17,9%, tra gli over 50, invece, i disoccupati sono appena il 6%.
Sono quindi i 900mila disoccupati e gli oltre 1,8 milione di inattivi tra i 25 e i 34 anni a rischiare più di ogni altro di dover restare al lavoro fino ai 75 anni, a patto di riuscire a trovarlo. L’ipotesi è prevista dalla riforma Fornero che penalizza le carriere intermittenti, i redditi bassi e pondera l’accesso alle pensione con l’aumento della speranza di vita. Nella legge scritta dall’ex ministro del Lavoro del governo Monti è messo nero su bianco che chi va in pensione con il sistema contributivo (dunque chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996) può uscire in modo anticipato (a tre anni dal requisito) o per vecchiaia solo se rispetta un limite di reddito. E quanto più questo reddito è basso, tanto più tardi potrà ritirarsi: di fatto per andare in pensione i lavoratori post 1996 devono aver versato davvero molti contributi.
Come sono cambiate le pensioni in 40 anni
Per accedere alla pensione anticipata, infatti, la pensione lorda mensile non può essere inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale, oggi pari a 448 euro. Dunque almeno 1.250 euro. Per ottenere, invece, l’assegno di vecchiaia la previsione di pensione non può attestarsi al di sotto di una volta e mezzo quell’assegno. E dunque non meno di 670 euro. Chi non arriva ai livelli minimi, per esempio precari con buchi contributivi o lavoratori autonomi che hanno versato poco, dovrà rimanere al lavoro quattro anni in più rispetto al traguardo della vecchiaia, addirittura sette in più su quello anticipato. Tradotto in termini di requisiti attuali: anziché a 63 anni e 7 mesi o 66 anni e 7 mesi, si va via a 70 anni e 7 mesi. Ai “ragazzi” del 1980 potrebbe andare peggio, perché se quando andranno in pensione la speranza di vita si allungherà ancora, potrebbero rischiare di uscire a 76 e 4 mesi.
fonte: La Repubblica
http://www.repubblica.it/economia/2016/04/30/news/lavoro_giovani_inps-138728156/?ref=HREC1-6