SCUSATE IL RITARDO

(articolo di redazione) Scusate se ve lo dico adesso, che il film al cinema magari non lo si trova più. Ma sono certo che da qualche parte riuscirete a recuperarlo, su qualche tv, o in rete, o magari in qualche bella rassegna estiva di cinema sotto le stelle, come una volta se ne facevano anche a Sesto San Giovanni.
Volevo dirvi di vedere Due giorni, una notte, di Jean Pierre e Luc Dardenne (anzi, già che ci sono volevo dirvi di vedere tutto quello che hanno fatto i Dardenne), con Marion Cotillard (vi ricordate di lei? Edith Piaf in La vie en rose? La francesina della fantasia alleniana di Midnight in Paris? Un sapore di ruggine e ossa dove recita senza gambe?), e suggerirvi qualche motivo di vederlo.
Ad esempio. Vi piace il cinema iraniano? Quello dell’insistenza e della tenacia, dove i personaggi sembrano rimbalzare contro il muro di gomma della realtà, e sembrano tornare al punto di partenza, anche se forse qualcosa è cambiato, almeno nella loro coscienza? Qui avete una giovane donna, Sandra, che lotta per il suo posto di lavoro, e che deve convincere i propri colleghi a rinunciare al bonus economico che il padrone ha promesso in cambio del voto a favore del suo licenziamento. E che va a parlare con ciascuno di loro, spostandosi tra i vari quartieri di una cittadina anonima, ripetendo ogni volta la propria pudica richiesta, ricevendo quasi le stesse risposte, a volte positive, a volte negative., in un tour alienante lungo due giorni e una notte, che gira su se stesso ma che deciderà della sua vita.
Tutt’altro? Vi piace il cinema da video games, il cinema dei super-eroi? Ebbene, qui trovate una sorta di Lara Croft proletaria, in canottiera e stivali, una supereroina fragile come un fuscello che lotta per superare ogni livello di un gioco la cui posta finale è il suo futuro, che perde energia ad ogni passo, ad ogni incontro/scontro e che cerca di recuperarla con le fonti di ricarica a disposizione, acqua minerale in bottigliette di plastica e pillole, ma dovendo fare attenzione a non esagerare per non andare in tilt…
A proposito, vi piacciono gli schemi classici delle fiabe, da cui in parte quelli dei video-giochi derivano? Qui gli elementi ci sono: l’eroe (declinato al femminile) che deve superare un certo numero predefinito di prove, per conseguire il premio finale (la riassunzione); c’è il viaggio, ci sono le pillole magiche, ci sono gli aiutanti benevoli (il marito, l’amica, la collega), ci sono gli antagonisti (il proprietario e il suo armigero, il perfido Jean-Marc)…
Le fiabe vi fanno venire il latte alle ginocchia e cercate il cinema-verità? Qui c’è. Riprese camera a mano, piani sequenza per ogni colloquio, poco montaggio e regia invisibile, niente musica extradiegetica a dettare i sentimenti allo spettatore, ambienti e personaggi che sembrano prelevati direttamente dalla vita quotidiana, interni domestici angusti di un piccolo benessere appena raggiunto e subito messo in pericolo.
Non siete soddisfatti? Siete convinti che il cinema debba essere forma, estetica? Allora fate attenzione a come in ogni inquadratura durante i colloqui (tutti!) tra Sandra e i suoi colleghi lo spazio sia rigorosamente spartito in due campi visivi (tutto serve: lo spigolo di una casa, una grondaia, una recinzione, uno scaffale, lo sportello di un’automobile, ecc.): da una parte Sandra, dall’altro l’antagonista da far diventare un alleato, a rendere immediatamente leggibile, a livello di visione, la contrapposizione a cui i lavoratori, appena ieri compagni e colleghi, sono costretti dal ricatto del padrone.
Già che siamo in discorso, vi piace il cinema sociale, che abbia un contenuto politico? Perché qui, come avrete capito, c’è il capitale che tiene il coltello dalla parte del manico, e lo usa per mettere i lavoratori (gli autoctoni come gli immigrati, tutti sulla stessa barca) gli uni contro gli altri, a combattere tra loro una sanguinosa lotta fratricida per il salario e la prole, in ragione del proprio profitto.
Non vi interessano i contenuti e i discorsi politicheggianti, per voi al centro del film ci sono gli attori e quello che cercate è una performance da Oscar? Allora guardate cosa fa qui la Cotillard, una che in Francia è una diva (e che l’Oscar ce lo ha già portato – oltre ad una trentina di altri premi vinti in giro per il mondo e a decine di nomination – e ha rischiato di portarne un secondo proprio per questo film) e che a Hollywood ha le porte aperte, che prende sulle sue deboli e forti spalle un film umile e orgoglioso, e le si dona completamente: volto, corpo e anima, sensibilità e intelligenza; presente dall’inizio alla fine del film, in tutte le sequenze senza nessuna eccezione, dando a Sandra tutta la fragilità del mondo, tutta la disperata tenacia, tutto il pudore e tutta la dignità possibili.
Perché se quello che cercate in un film è una storia che vi prenda e vi commuova, qui avete la storia di una donna in crisi e di una lavoratrice, di una moglie e di una madre, che lotta per se stessa, per la propria vita e il proprio futuro, per il proprio marito e i propri figli, per la propria identità e la propria dignità. Che, indebolita da un periodo di depressione, combatte con forze ostili, più forti di lei, che patisce un’ingiustizia, e che tutto sommato, comunque, non scende a compromessi. Non vince, non contrattacca, non si arrende: come prescrivono gli ultimi tre articoli della costituzione di Užupius (una repubblica indipendente immaginaria che ha sede nel cuore di Vilnius, la capitale della Lituania).
E già che ci siamo vi dico anche perché piace a me, perché quello dei Dardenne è sempre e da sempre un cinema umanista, che ama i propri personaggi, la loro umana forza e la loro umana debolezza, che non li condanna quando sbagliano e non li abbandona quando sono smarriti. Che non li consolano con il pietismo, che non li illudono con la faciloneria dei lieto fine, che non giocano con loro come fossero burattini, che non li umiliano con il nichilismo esistenziale. Che per loro provano simpatia, nel senso greco del termine e pietas, nel senso latino del termine. Che hanno fiducia negli uomini e nelle donne, nelle ragazze e nei ragazzi, e credono che sia giusto dar loro una speranza, sempre, anche quando la realtà crudele ed ostile sembra avere la meglio. In modo tale che si può vincere anche quando si perde, come fa Sandra, purché si sia mantenuto la propria integrità, il rispetto di se stessi, purché ci si sia battuti bene.
Perché bisogna dargliene atto, a tutti loro: a Jean Pierre, a Luc, a Sandra, a Marion: che si sono battuti bene.
Mauro Caron