Salute, cala l’aspettativa di vita, Italia fra ultimi Paesi Ue in spesa per prevenzione
CINQUECENTONOVANTA pagine, frutto del lavoro di 180 ricercatori. Alla sua tredicesima edizione, il rapporto Osservasalute 2015 è certamente la più grande raccolta e analisi di dati sullo stato di salute degli italiani e sulla qualità dell’assistenza nelle nostre regioni. Dove la devoluzione ha di fatto delineato sanità diverse, se non per regione almeno per macro-aree del paese. Che Italia viene fuori dal maxi-rapporto dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane? Un ritratto di un paese sempre più vecchio, oltre un italiano su 5 ha più di 65 anni, con anziani e grandi vecchi in crescita, e un boom di ultracentenari, triplicati dai 5650 casi del 2002 ai diciannovemila del 2015.
Aspettativa di vita. Il dato in controtendenza – però – è quello dell’aspettativa di vita, che non aumenta più. Nel 2015 la speranza di vita alla nascita era di 80,1 anni per gli uomini e di 84,7 per le donne (dati Istat più recenti). Nel 2014 però era più alta: 80,3 per gli uomini e 85 per le donne. Diminuzione non rilevante, certo, ma è un’inversione di tendenza, ed è la prima volta. Oltre a questo dato, che non fa ben sperare, c’è poi la questione delle campagne di prevenzione e degli screening, che non si riescono a fare per mancanza di soldi e che alla salute della popolazione sono ovviamente correlati. L’Italia destina alla prevenzione il 4,1 per cento della spesa sanitaria totale, percentuale che ci piazza tra gli ultimi posti d’Europa. E anche i Lea, i livelli essenziali di assistenza, con le prestazioni che dovrebbero essere garantite a tutti i cittadini, non sono applicabili dovunque, a maggior ragione nelle regioni ancora alle prese con i piani di rientro dal deficit.
Ultimi della classe. “Siamo la Cenerentola del mondo – ammette scorato Walter Ricciardi, direttore dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane nonché presidente dell’Istituto superiore di sanità – l’ultimo paese a investire in prevenzione, a cominciare dalle vaccinazioni. E poi ci sono gli screening oncologici, mai partiti o che funzionano a macchia di leopardo, soprattutto per le donne. Ed è preoccupante che per la prima volta l’aspettativa di vita stia diminuendo. Oggi i cittadini di Campania e Sicilia hanno un’aspettativa di quattro anni in meno di vita rispetto a chi vive nelle Marche o in Trentino. Abbiamo perso in 15 anni i vantaggi acquisiti in quaranta. E se è vero che l’Italia ha uno dei migliori sistemi sanitari al mondo, questo vale però solo per una minoranza di italiani”.
I tumori. Che di vantaggi ne abbiamo perso tanti lo dimostra anche il dato sui tumori. “Abbiamo un aumento di incidenza dei tumori prevenibili – commenta Alessandro Solipaca, segretario scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane – soprattutto mammella e polmone per le donne e colon retto per gli uomini. Ma quello che più colpisce del rapporto è il consolidamento delle diseguaglianze: abbiamo divari territoriali sempre più consistenti e le regioni del Sud, che hanno i finanziamenti pro capite più bassi per la spesa sanitaria, sono quelle che invece stanno peggio, in termini di mortalità e di speranza di vita, e dovrebbero avere più stanziamenti”.
I dati. Esaminiamo alcuni elementi analizzati dallo studio, che è estremamente complesso e dettagliato, e che si potrà consultare sul sito di Osserva Salute, cominciando dalla spesa sanitaria pubblica pro capite, che resta stabile ma molto più bassa che in altri paesi. Nel 2014 l’Italia ha speso 1817 euro a testa, in linea con l’anno prima. Il fatto che non continui a scendere è positivo, anche perché questo valore ci piazza già tra i Paesi che spendono meno, quelli dell’Europa dell’est: il Canada ha infatti speso il 100 per cento in più, la Germania il 68 e la Finlandia il 35.
Le Regioni. La spesa pro capite più alta è in Molise (2226 euro), la più bassa in Campania (1689). Diminuisce anche il disavanzo sanitario nazionale, passando da 1,744 miliardo di euro del 2013 agli 864 milioni del 2014. Ottima notizia per le casse dello Stato ma – segnala il rapporto – l’equilibrio è ancora fragile perché questo risultato è stato raggiunto bloccando o riducendo volumi e prezzi dei fattori produttivi e contenendo i consumi sanitari, contenimento che difficilmente potrà essere mantenuto. Già così, una buona fetta di cittadini è costretta a ricorrere alle proprie tasche per assicurarsi visite ed esami. Ma veniamo al dettaglio dello studio, cominciando dal capitolo vaccini, uno dei più delicati.
Vaccini. Altro capitolo critico è quello delle vaccinazioni, in particolare l’antinfluenzale per gli over 65, scesa dal 2003 al 2015 dal 63,4 al 49 per cento. “Un meno 22,7 per cento che preoccupa – continua Solipaca – proprio perché gli anziani sono una delle fasce più a rischio complicanze. E perché la copertura raggiunta – il 49 per cento – è ben lontana sia dal 75 per cento, considerato il minimo dal piano nazionale prevenzione vaccinale, in accordo con l’Oms, sia dal 95 per cento, giudicato invece livello ottimale. E ci chiediamo quante di quelle 54.000 morti in più del 2015 siano legato proprio alle complicanze dell’influenza tra gli anziani”.
Vaccinazioni in età pediatrica. Nel 2013 l’obiettivo minimo per le vaccinazioni obbligatorie, stabilito dal Piano nazionale vaccini, 95 per cento entro i due anni di età, era stato raggiunto. Poi, negli anni successivi un leggero calo (ma sempre sopra il 94 per cento). Andamento simile per le vaccinazioni raccomandate, come Pertosse (-1,1%) e anti-Hib, l’Haemoplus Influenzae di tipo B (-0,6%). Variazioni maggiori per le coperture di morbillo, parotite, rosolia (-4 per cento) e meningococco C coniugato (-2,5%). Cresciute invece le coperture di anti-varicella (+10,3%) e Pneumococco coniugato (0,6%). La copertura anti-morbillo-parotite-rosolia non ha raggiunto ancora il 95% ottimale. “Ci sconcerta che uno strumento come quello dei vaccini sia così osteggiato – ragiona Ricciardi – e siamo certi che ci saranno casi di malattie e morti, come purtroppo è già accaduto per il morbillo e la pertosse. Il caso di difterite in Spagna, dopo quasi 30 anni, in un bambino non vaccinato, deve far riflettere. Le malattie che pensavamo scomparse o ridotte ai minimi termini continuano a circolare”.
Fumo. Nel 2014 i fumatori italiani erano poco più di dieci milioni, il 19,5 per cento della popolazione italiana sopra i 14 anni: poco meno di 6 milioni e 200 mila uomini e poco più di 4 milioni di donne. La tendenza è in continua discesa: nel 2010 fumava il 22,8%; nel 2011 il 22,3%; nel 2012 il 21,9%, nel 2013 il 20,9 per cento. Il numero medio di sigarette fumate diminuisce, anche se il dato del 2014 – 12,1 sigarette fumate – è uguale a quello dell’anno precedente. I fumatori più accaniti sono gli over 50. La prevalenza è più alta nei Comuni più grandi e in alcune regioni come la Campania (22,1 per cento). La regione dove si fuma meno è la Calabria (16,2 per cento).
Alcol. I consumi sono in leggera crescita. Stabile la percentuale di chi non beve sopra gli 11 anni: 34,9% nel 2013 a fronte del 35,6% nel 2014. Quasi invariata anche la prevalenza dei consumatori a rischio: nel 2014 22,7 per cento per gli uomini e 8,2 per le donne, nel 2013 erano rispettivamente del 23,4% e 8,8%.
Sport. Aumentano gli italiani sportivi. Nel 2001 erano il 19,1 per cento, nel 2001 il 23 per cento, nel 2014 la percentuale è invariata. Negli ultimi due anni aumenta però il numero di chi, pur non praticando un’attività sportiva organizzata, svolge comunque un’attività fisica, come passeggiate per almeno 2 chilometri, bicicletta, nuoto: nel 2014 era il 28,2% della popolazione, l’anno prima il 27,9. Le regioni del Nord sono più sportive, la palma della regione con meno sportivi va alla Campania (17,9%).
Alimentazione. Nella patria della dieta mediterranea continuano a crescere i numeri del sovrappeso e dell’obesità. Nel periodo 2001-2014 le persone in sovrappeso sono passate dal 33,9 al 36,2 per cento, gli obesi dall’8,5 al 10,2 per cento. Questo vuol dire che – tra sovrappeso e obesità – nel 2014 ben il 46,4 per cento della popolazione non manteneva il suo peso forma. Quasi la metà. Numeri importanti, che vedono sempre la spaccatura tra il Nord, mediamente più magro, e il Sud che lievita. Anche se i dati dimostrano che l’eccesso di peso comincia a diventare un problema anche al nord. E cresce comunque con l’aumentare dell’età. Bambini e ragazzi 8-9 anni con sovrappeso e obesità sono il 30,7 per cento nel 2014. Un dato in lieve calo rispetto agli anni precedenti (era 35,2%). Più i genitori sono istruiti e meno i figli sono grassi, mentre nelle famiglie con un genitore obeso la prevalenza di bambini in sovrappeso è ovviamente maggiore. Del resto Osservasalute, che registra i comportamenti alimentari, rivela che siamo ben lontani dalle 5 porzioni di frutta e verdura al giorno, e le percentuali scendono (dal 2005 al 2014 passa dal 5,3 al 4,9 % della popolazione).
Antidepressivi. Continua il trend in crescita. Forse – precisa il rapporto – anche per l’arrivo di nuovi farmaci utilizzati anche per il controllo di disturbi psichiatrici non strettamente depressivi, come i diturbi d’ansia, la riduzione della stigmatizzazione della depressione e l’aumento di attenzione del medico di medicina generale. I consumi sono pari a 39,30 DDD (dosi definite giornaliere) su mille abitanti al giorno nel 2014. I consumi più alti in Toscana (59,50), i più bassi in Basilicata (30,30).
Suicidi: in leggero aumento, passando dai 7,23 casi su centomila del biennio 2008-2009 ai 7,99 del biennio 2011-12. Nel 78,4 per cento dei casi il suicida è uomo, e la tendenza aumenta con l’età. Percentuali più alte al nord.
fonte: La Repubblica
http://www.repubblica.it/salute/medicina/2016/04/26/news/piu_anziani_ma_vivremo_di_meno_ecco_il_check-up_degli_italiani-138487149/?ref=HRER3-1