Roberto Pennasi racconta l’USBEKISTAN (prima parte)

images20/04/2013 Khiva, ore 23
Si arriva presto al mattino dopo una notte corta, ma tormentata e quasi insonne e veloce e si raggiunge l’albergo vicino. Poi subito la città vecchia.
Ma prima il massiccio castello con mura alte e contrafforti in terra pressata. Il lungo girare nel sito, ormai diventato un museo all’aperto, con il continuo alternarsi di spazi esterni con altri coperti da alti soffitti. Un susseguirsi di grandi frontoni di moschee e palazzi a decoro dipinto e a tetto intarsiato.Finestre a creare luce all’interno e correnti d’aria create da camini per dare freschezza. Colonne di legno talvolta isolate, ma spesso disposte in più file o in gran numero in vario spazio a creare un senso di grande imponenza, di forza o quasi di rada boscaglia che insieme ti prende e dà suggestione di vivere altrove. E mescoli il bello che vedi con l’alto a sovrasto che quasi ti crea una vertigine. Un lungo infinito passare per spazi ristretti e abbassati di luoghi diversi. Intorno le cupole, i muri azzurrati da piccole e tante piastrelle.
All’entrata, dopo una imponente statua di un grande cittadino che noi conosciamo per essere il fondatore della moderna matematica e il diffusore dello “zero” nel calcolo (Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi con i suoi libri fondamentali “Concise Book of Calculus in Algebra and Almukabula” e “Book of Indian Calculus”, il cono interrotto di un grande minareto, che poi la storia di alterne fortune locali ha lasciato incompiuto.
Viaggiamo un po’ trasognati dal sonno mancante, ma anche da ciò che di bello vediamo. Un po’ ovunque c’è gente che porge le cose d’acquisto, e le lunghe mura coperte in basso da piccoli tavoli con sopra oggetti di vario colore e fattezza. Più alti, dei pali appoggiati sostengono enormi cappelli di pelo. Diversa la forma, il colore e l’eleganza di tali manufatti.
La casa del Khan, il grande sovrano di Khiva, gli spazi per moglie e per concubine, le belle botteghe artigiane per legni e per stoffe. E dentro ragazzi e ragazze che apprendono come si fanno le cose. Li guardi e ti guardano curiosi e spesso ridenti con gli occhi che san di speranza e voglia di vita.
C’è anche un caravanserraglio che è chiuso per un grande restauro. E ovunque ci sono turisti con molti italiani. Uno spazio è adibito a mostra di foto e di oggetti per campi e per la cucina.
E dopo la cena si torna con le pile in mano a rivedere il già visto nel dì che ora è illuminato con luci e fari. La sera e le luci a diversi colori ci danno l’incanto di sempre. Ma qui lo sfumarsi dal verde all’azzurro e il crepuscolo ancora chiaro aggiungono una nota diversa che è tutta orientale.

Roberto Pennasi