di Daniela Preziosi, 20.10.2014
Democrack. Calano gli iscritti? Il segretario fa il pieno di nuovi parlamentari, recupera le liberali «opportunità» e adatta la vecchia vocazione maggioritaria. E dalla direzione del partito lancia la sua Leopolda. Niente sanzioni per la minoranza che non ha votato l’art. 18 e che andrà al corteo Cgil. Il governo rischierebbe di perdere il senato.
Dai fuoriusciti di SEL agli ex di Scelta civica, «da Gennaro Migliore fino a Andrea Romano e quella parte di Scelta civica che vuole stare a sinistra» . Alla direzione Pd Renzi ridisegna il suo partito, allargando al massimo della capienza la vocazione maggioritaria già tentata da Veltroni. E lo fa ormai senza inciampi ideologici o programmatici, perché la sinistra — dice — «è dare opportunità», «liberare i talenti», «senza lasciare indietro nessuno», un’idea liberal che apre praterie almeno sul fronte destro. «È finito l’art.18 del voto, la gente non continua a votare gli stessi comunque vada ma fa zapping». Persino il lettiano Francesco Boccia eccepisce che «lo sforzo storico non è dire una cosa che vada bene anche a destra» ma «come regoliamo il mercato e il modello fa la differenza con la destra. Abbiamo il dovere di costruire un’idea di paese visto da sinistra».
Renzi apre la fase della rifondazione del Pd che si chiuderà con un’assemblea nazionale a fine anno. Lì le new entry saranno formalizzate. Romano è entusiasta dell’apertura «ai temi liberali» e invita i suoi ex amici di Scelta civica (lui è già transitato nel gruppo misto) a «prendere atto con realismo dell’esaurimento di quel progetto». Gli ex SEL, riuniti nell’associazione Led, già domenica si erano visti in un albergo romano e avevano applaudito con calore la proposta, anticipata dal presidente Pd Matteo Orfini: cui era stato riservato il primo intervento dopo la relazione di Migliore che annunciava il sì alla manovra. Il modello che ha in testa Renzi è «bipolare» anzi «bipartitico». La novità è che nell’Italicum il premio di maggioranza sarà attribuito alla lista. La coalizione è ufficialmente seppellita, al suo posto c’è il partitone.
Sulla famigerata forma-partito, le caratteristiche che avrà questo partitone, Renzi butta là qualche titolo. Il dossier è affidato a una commissione, poi l’assemblea nazionale e voterà la mutazione genetica del Pd. Sul calo degli iscritti il segretario snocciola cifre che dovrebbero dimostrare che il crollo è fisiologico negli anni senza elezioni, ma ammette di aver sbagliato a trattare la cosa a colpi di battute, «serve una riflessione un pochino più approfondita». La sinistra a più voci, giovani turchi compresi, chiede che sia riaffermato il partito «degli iscritti e degli elettori», (Fassina: «Gli iscritti non sono una concessione ai nostalgici del 900, non si costruisce cambiamento progressivo senza iscritti»). Ma a Renzi interessano evidentemente i secondi, come se valesse l’algoritmo «sedi vuote urne piene». In questa penuria lo stato del partito non è confortante, dice Goffredo Bettini, europarlamentare certo non ostile al segretario: «In alcune realtà viviamo una girandola, un farsi e disfarsi di alleanze che hanno come unico obiettivo il potere». L’area ’riformista’ chiede che le primarie siano riservate alla scelta delle cariche monocratiche.
Ma lo scontro a brutto muso è sulla Leopolda, la kermesse dei renziani il prossimo week end a Firenze. «Cos’è?», chiede Gianni Cuperlo, «leggo che dietro ci sia una fondazione che raccoglie 2mln di euro, alcune centinaia di comitati che hanno la missione di sostenere le idee di Renzi», «dobbiamo essere chiari, se tu costruisci e rafforzi un partito parallelo scegli un particolare modello, la locomotiva si avvia in quella direzione e si porta appresso tutti gli altri vagoni. A quel punto andremo verso una confederazione». Nessuna federazione, dice Renzi, la Leopolda è «migliaia di persone non necessariamente del Pd che discutono di politica», «drammatizzarla ci fa perdere un’occasione».
Le differenze politiche sono profonde, le minoranze dovranno farsene una ragione. In cambio hanno il nulla osta per andare al corteo Cgil. Anche le ventilate sanzioni per i senatori che non hanno votato la fiducia sono svaporate. Walter Tocci viene invitato a ritirare le sue dimissioni. Certo, dice Renzi, «non possiamo diventare né un comitato elettorale né un club di anarchici e filosofi». Ma una stretta disciplinare rischierebbe far saltare la maggioranza al senato. E allora un governo val bene un po’ di tolleranza.