Nel marzo 1966 John Lennon concesse un’intervista a Maureen Cleave, una giornalista con la quale sembra avesse avuto l’avventura immortalata nella canzone Norwegian woods. La Cleave notò che Lennon aveva, nella sua libreria, Il copione della Passione di Hugh Schonfield.
Il controverso best seller dell’anno prima sosteneva che Cristo aveva pianificato gli eventi della Settimana Santa in modo da essere crocifisso poco prima dello Sabbath, ricevere sulla croce dell’acqua drogata, ed essere portato in salvo e “risorto” da Giuseppe d’Arimatea. Anche se il piano fallì, per l’imprevisto colpo di lancia al costato inflittogli da un soldato.
Notato il libro, la giornalista chiese al cantante cosa pensasse della religione, e la sua risposta passò alla storia, o almeno alla cronaca: “Il cristianesimo se ne andrà. Si contrarrà e svanirà. Non c’è bisogno di discutere: ho ragione, e si vedrà che ho ragione. Noi siamo più popolari di Gesù, oggi, e non so chi se ne andrà prima, se il rock ’n’ roll oil cristianesimo. Gesù poteva anche andar bene, ma i suoi discepoli erano ottusi e banali. A rovinare tutto, per me, è come lo si è distorto.”.
L’intervista uscì sul London Evening Standard, e nessuno in Inghilterra fece caso a questa dichiarazione. Ma nell’agosto di quell’anno, mentre i Beatles stavano per iniziare negli Stati Uniti quello che sarebbe diventato il loro ultimo tour, la rivista giovanile Datebook la sbattè in copertina. E poiché al di là dell’Atlantico c’è meno senso dello humour che oltre Manica, le reazioni furono diverse.
I fondamentalisti statunitensi si scatenarono e organizzarono roghi di dischi dei Beatles, moderna versione dei roghi dei libri del passato. Il Ku Klux Klan ne crocifisse addirittura uno su una croce di legno. Molte radio imposero un bando alle canzoni del quartetto. La protesta si estese anche all’estero, dal Messico alla Sud Africa.
Evidentemente Lennon aveva toccato un tasto dolente per i puritani, e l’11 agosto fu costretto a far marcia indietro, in una conferenza stampa a Chicago: “Non ho detto niente di ciò che si dice che abbia detto. Mi dispiace di averlo detto. Non l’ho mai inteso come una stupida cosa antireligiosa. Se questo vi rende felici, vi chiedo scusa, anche se non ho ancora ben capito cosa ho fatto. Ho cercato di spiegarvi cosa ho fatto, ma se volete che chieda scusa, se questo vi rende felici, allora ok: mi dispiace”.
Il tour era salvo, anche se alcuni concerti furono cancellati, e altri vennero picchettati dal Ku Klux Klan. Ma da allora quelle dei Beatles cessarono di essere “solo canzonette”, e anche la religione entrò a far parte della loro immagine pubblica. Privatamente, da ragazzi, i Fab Four erano tutti stati cristiani, in un modo o nell’altro: John anglicano, Paul e George cattolici, e Ringo evangelico. Ma già nel febbraio 1965, in un’intervista a Playboy, essi avevano dichiarato di esser diventati tutti agnostici, lasciando capire che poteva essere pericoloso dire che erano in realtà tutti atei.
Agnostici o atei che fossero, non lo rimasero comunque a lungo. Soprattutto George Harrison, che trovò nell’India e nelle religioni orientali una forma di spiritualità congeniale, contagiando per un certo periodo il resto del quartetto. Anche Lennon fu trascinato da Harrison a flirtare per un po’ con l’Oriente, come testimonia Instant karma, scritta e registrata in un solo giorno, il 27 gennaio 1970. Ma tornò presto a rivendicare coraggiosamente un ateismo globale.
La sua canzone God, dall’album Plastic Ono Band dello stesso anno, elenca una lunga lista di “non credo”: in particolare, nella Bibbia, in Gesù, in Buddha, nei mantra, nello yoga e nei Beatles. E Imagine, dall’omonimo album del 1971, fra le sue varie proposte oniriche ci chiede di immaginare che non ci siano né paradisi né inferni, e nemmeno religioni.
Come si vede, niente di così offensivo e oltraggioso come la sua dichiarazione sulla fine di Gesù e del cristianesimo, che comunque non era stata dimenticata. Uno dei matti a cui continuava a dar fastidio si chiamava Mark Chapman, un cristiano “rinato” che la considerava blasfema. E gli davano fastidio anche God e Imagine, tanto da arrivare a cantare quest’ultima con il verso alterato: “immagina John Lennon morto”.
L’8 dicembre 1980 il matto realizzò, a un tempo, la propria immaginazione, e la profezia del cantante in The ballad of John and Yoko del 1969: “finiranno per crocifiggermi”. Invece dei chiodi, Chapman gli piantò quattro pallottole in corpo, e chiuse così un conto che era rimasto aperto con il fondamentalismo per quattordici anni.
Ricordiamo oggi, a trentacinque anni dal suo martirio, un uomo che ha appunto avuto il coraggio di cantare contro i fondamentalismi religiosi di ogni genere, che continuano a imperversare nel mondo. Anche a Roma, dove le “folle oceaniche” accorse oggi in massa all’apertura del Giubileo sono l’altra faccia della medaglia di quelle che accorrono in massa attorno alla Kaaba. E costituiscono l’acqua nella quale nuotano i pesci che poi imbracciano i fucili: dai fanatici cristiani come quelli che uccidono periodicamente i medici abortisti negli Stati Uniti, o quello che massacrò 79 persone a Oslo e Utoya nel 2011, ai fanatici islamici che hanno ucciso 130 persone a Parigi qualche settimana fa.
fonte: La Repubblica
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