Quando fu siglato l’armistizio dell’8 settembre 1943, Ciampi, che si trovava in Italia con un permesso, rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale Italiana e si rifugiò a Scanno, in Abruzzo, dove trovò il suo Maestro Guido Calogero, condannato al confino per le sue idee antifasciste, esponente di primo piano del pensiero liberalsocialista e vicino al Partito d’Azione. Il 24 marzo 1944 Ciampi, con un gruppo di una sessantina di persone, fra cui lo stesso Calogero, altri antifascisti, prigionieri sfuggiti alla Wehrmacht e con l’aiuto della guida locale Alberto Pietrorazio, partendo da Sulmona si mise in marcia per raggiungere gli Alleati, attraversando il massiccio della Majella.
Fu ministro del tesoro (dall’aprile 1996 al maggio 1999) nei governi Prodi I e D’Alema I. In questo periodo, la sua opera fu caratterizzata dalla riduzione del debito pubblico italiano in vista degli obblighi imposti dal trattato di Maastricht, per garantire l’accesso dell’Italia alla moneta unica europea.
Con Stark Ciampi aveva parlato pochi giorni prima. Gli aveva anticipato che stava per chiedere la riammissione della lira nel Sistema monetario europeo, condizione necessaria per entrare nell’euro dall’inizio. Il punto era stabilire il tasso di cambio. Stark rassicurò: la Germania non avrebbe chiesto per la lira un tasso di cambio irrealisticamente elevato. Nel week-end successivo invertì la sua posizione. Un atto di slealtà: la lira sarebbe crollata se i mercati il lunedì mattina avessero riaperto senza un accordo. Ciampi condusse il negoziato fino a notte fonda con un’energia impressionante. Riuscì a chiudere l’accordo su un tasso di cambio centrale lira-marco nello Sme a quota 990, gettando le basi per la conversione nell’euro a 1936,27. Quella notte determinò il futuro del Paese!
Quando Carlo Azeglio Ciampi divenne presidente della Repubblica, Silvio Berlusconi, che aveva schierato i suoi uomini fra i «grandi elettori» dell’ex governatore di Bankitalia, pensava di essersi messo alle spalle la stagione di guerriglia con il Quirinale vissuta ai tempi di Oscar Luigi Scalfaro. Si illudeva, il leader di Forza Italia. Ne ebbe prova in una cena sul Colle, nel dicembre 2003, quando il capo dello Stato gli anticipò che non avrebbe ratificato la legge Gasparri sul riordino del sistema radiotelevisivo. Una legge chiave, per il padrone di Mediaset e di tanti altri mass-media, e già deplorata dallo stesso Parlamento di Strasburgo, che segnalò il conflitto d’interessi.