E’ morto FRANCO VILLANI, partigiano, nome di battaglia CIF. I democratici milanesi lo ricorderanno nel corso di un evento che si terrà mercoledì 21 febbraio alle ore 18 alla CASA DELLA MEMORIA di Milano VIA Confalonieri 14 primo piano
Pubblichiamo il ricordo di questo combattente per la libertà scritto da Luigi Vinci.
Franco Villani lo conobbi, se non ricordo male, nel 1963, ed ebbi modo di incontrarlo parecchie volte fino quasi alla fine degli anni sessanta. Uomo buono, riflessivo, civile, colto, intelligente, formava un democratico radicale e di sinistra senza se e senza ma, ed era quindi un piacere e motivo di apprendimento sentirlo ragionare. Si era laureato dopo la guerra in legge ed era stato a lungo un intelligente giornalista specialista in questioni finanziarie. Poi non ho avrò occasioni di incontro per quarant’anni. Negli anni sessanta non mi disse mai nulla della sua esperienza partigiana, di gappista a Milano con Bruno Trentin, legato alle formazioni Giustizia e Libertà (quelle facenti capo al Partito d’Azione): di quest’esperienza ho saputo solo pochi anni fa. Non deve stupire: quasi tutti i compagni partecipi della lotta armata nel contesto della Resistenza all’occupante tedesco e ai traditori fascisti che ho avuto la fortuna di conoscere erano estremamente parchi di parole su quel periodo, sulle azioni militari cui avevano partecipato, sui ruoli che avevano coperto. Pesavano in questo senso, credo, molte cose: il ricordo difficile da elaborare dei compagni morti in combattimento o assassinati, delle stragi fasciste e tedesche di ostaggi, prigionieri, operai, contadini, interi villaggi, ma anche le sconfitte politiche e la repressione brutale delle sinistre a partire dal 1947, i licenziamenti di massa degli operai combattivi, le stragi di polizia, di banditismo e di mafia.
Di Franco Villani a quei tempi avevo solo saputo della sua esperienza politica, assolutamente anomala, nell’immediato dopoguerra. Scioltosi nel 1947 il Partito d’Azione Franco per un brevissimo lasso di tempo si era legato al Partito Comunista. Sarà il clima autoritario pesantissimo che si respirava dopo la guerra e che andrà avanti fino all’VIII congresso (la federazione milanese oltre a essere guidata dalla fazione più stalinista del PCI risultava travagliata da pesanti scontri di tendenza e organizzativi alcune cui radici venivano addirittura dagli anni della Resistenza) a problematizzargli il rapporto con il partito e poi a indurlo ad allontanarsene.
Operavano in quel tempo alcuni piccoli gruppi di comunisti dissidenti, e tra essi Franco Villani optò per il più minuscolo, quello trockista appena costituito, una quindicina di persone, guidato da Livio Maitan. Nel contesto degli anni cinquanta una parte delle organizzazioni trockiste europee, avendo tentato senza risultati di allargare la loro influenza nel mondo del lavoro, o, quanto meno, di raggiungere dimensioni militanti di una qualche consistenza, decisero di far iscrivere gran parte dei loro aderenti ai partiti di massa della sinistra, comunisti o socialdemocratici che fossero. Villani non condivise quell’indirizzo, e ciò segnò la sua definitiva uscita dalla militanza politica, pur mantenendo per alcuni anni la sua adesione al gruppo trockista, inoltre conservando con i suoi militanti rapporti di amicizia. E fu questo fatto a farmelo incontrare. Nel 1962, segretario della FGCI a Sesto San Giovanni e non poco contraddetto dalle posizioni rivendicative (mediocri e per molti aspetti errate) della CGIL nel contesto della vertenza per il rinnovo contrattuale dei lavoratori metalmeccanici, ero andato a curiosare nel neonato gruppo dei Quaderni Rossi, interessato da quel che avevo udito delle loro idee nelle discussioni dentro alla federazione milanese del PCI. E qui incontrai per la prima volta due membri del suo comitato federale, uno di essi anche membro dell’apparato e portatore del ruolo importante di dirigente della commissione economica. Del loro trockismo tutti sapevano nell’apparato di partito, scoprirò, nonostante i loro accorgimenti per non farsi identificare. Vi era in questa federazione del PCI una prevalenza di posizioni opportuniste alias miglioriste che mettevano il freno a tutto quanto potesse collocare il partito fuori da un tranquillo minimalismo ovvero dalla tendenza alla transazione purchessia con DC e PSI alleati, e vi si era formato un conglomerato di malcontenti, tra cui un congruo pezzo di federazione giovanile. E ciò portò a un opposto conglomerato fatto di varie sinistre: che acquisì peso, ma che verrà distrutto tra il 1964 e il 1967 da pesanti operazioni repressive dentro all’apparato e dalle pulizie politiche nei momenti congressuali guidate direttamente da Mario Alicata per conto del gruppo dirigente nazionale.
Ci si era avvicinati al 1968, alla grande insorgenza giovanile (non solo studentesca), ai comitati di base sui luoghi di lavoro, che imporranno di lì a un anno il rovesciamento in senso egualitario di piattaforme rivendicative già assurdamente premianti le categorie lavorative più alte e la sostituzione di commissioni interne spesso burocratizzate con i consigli dei delegati. Al tempo stesso, tornando al mio rapporto con Franco Villani, questo passaggio ne segnò l’interruzione. Con la dissoluzione del “conglomerato” di sinistra dentro alla federazione del PCI era anche venuto meno il rapporto con tutte le sue componenti, ivi compresi i membri del suo piccolo gruppo trockista interno.
Come se non fossero passati quarant’anni mi troverò a ridiscutere con Franco Villani, e con altri compagni rimasti in rapporto con lui, di massimi sistemi. Poi si Franco si ammalerà. Stamani è morto, stava per fare i 93 anni. Grazie per tutto quello che hai saputo dare a tanti e a questo paese, ti voglio bene, Franco.
Luigi Vinci
5 febbraio 2018