Renzi: sub commissario d’Italia

Riassunto delle puntate precedenti.

L’Italia è stata commissariata nell’estate del 2011.

Commissario straordinario è stato nominato Giorgio Napolitano e da allora in poi il ruolo di Presidente del Consiglio è stato degradato a quello di sub commissario.

Le decisioni più significative non vengono prese né a Palazzo Chigi né tantomeno in Parlamento, ma in circoli ristretti che tutelano gli interessi, peraltro non sempre convergenti, della grande finanza internazionale e dei paesi più forti della UE.

In quegli ambienti, si sa, la democrazia è un optional, un simpatico souvenir di epoche ormai passate al quale, se occorre, si può rinunciare a cuor leggero.

In questa situazione l’ascesa di Renzi poteva inizialmente sembrare un elemento di novità significativo. L’ampio consenso raccolto alle primarie, infatti, non era infatti solo l’espressione dell’ansia di rottamare al più presto un gruppo dirigente ormai privo di qualunque credibilità, ma conteneva in sé anche, a mio avviso, una richiesta di superamento del commissariamento della politica e di una nuova rilegittimazione democratica.

Con l’accelerazione di questi giorni, Renzi conquista Palazzo Chigi con una manovra di palazzo abbastanza opaca, tradendo le aspirazioni al rinnovamento che lo avevano accompagnato e anche il suo stesso personaggio pubblico,  costruito in gran parte sulla apparente trasparenza delle posizioni, sulla retorica delle sfide in campo aperto, sul superamento di quell’esasperato tatticismo senza strategia che aveva condannato il vecchio gruppo dirigente del PD.

Ma soprattutto adesso si ritrova a svolgere un ruolo comunque da subcommissario, sempre sotto tutela, reso ancor più debole dai numeri parlamentari, dai ricatti di piccole e grandi gruppi di pressione e, principalmente, dalla assenza di una vera, ampia legittimazione democratica che è l’unica a poterti consentire di sedere ai tavoli che contano sbattendo i pugni.

Renzi non coglie, o semplicemente non gli interessa cogliere, che la questione democratica è assolutamente determinante per qualunque ipotesi vera e radicale di trasformazione e che il finto decisionismo o il “nuovismo” di facciata non porta a nulla e anzi aggrava ed accelera la crisi della politica.

La crisi della politica è, essenzialmente, la crisi della democrazia e della sovranità popolare, della possibilità concreta di determinare i destini dei popoli anche e soprattutto in contrapposizione alle volontà e agli interessi di pochi.

Una nuova sinistra non può che fondarsi sul recupero e l’ampliamento della sovranità popolare, che resta la principale conquista della modernità, e alla quale va restituito un respiro ampio, di carattere sovranazionale, almeno di dimensione europea, rifuggendo da qualunque rigurgito nazionalista, ma anche facendo ben presente alla sig. ra Merkel che non abbiamo intenzione di diventare suoi sudditi.

Giovanni Montefusco – Esse blog.it