Renzi e le parole in libertà. Così l’Italia diventa Disneyland
Oltre al fatto che Conrad ha avuto una gioventù tremenda, vissuta in povertà, violenza e depressione, quello è l’incipit del capolavoro La linea d’ombra, che lo scrittore anglo-polacco scrisse a 60 anni, e che prosegue così: “Che momenti? Ebbene, momenti di tedio, di stanchezza, di scontento. Momenti di irriflessione. Parlo dei momenti in cui chi è giovane è incline a commettere atti inconsulti”. Se solo Renzi fosse andato oltre pagina uno riga uno, non avrebbe scelto quella frase come suo manifesto, a meno di non volersi dare la zappa sui piedi. “Ma in fondo chissenefrega della verità?”, avrà pensato, “Oggigiorno chi va più a controllare? Basta che funzioni qui e ora, e se la bevano”.
E così è stato. La conquista del Pd, poi il governo, sempre sulla scia della parola e dello slogan e dell’hashtag che buca, spacca, funziona e chissenefrega se è un camouflage della realtà. Basta che gli italiani se la bevano. Ecco allora il florilegio di #cambioverso (ma per andare dove? verso il meglio o il peggio?), #lavoltabuona, “le riforme contro chi dice sempre no”, senza porsi minimamente il problema che magari se dicono no hanno ragione, che la “riforma” in sé non è necessariamente buona, magari è cattiva e allora meglio non farla. O magari (anzi, sicuramente) ponendoselo, il problema; tanto basta aggirarlo trasformando il linguaggio della politica in pubblicità ingannevole. Per la serie: se ti dico che sei brutta t’incazzi, allora meglio “sei bella come il cielo”, senza specificare se c’è il sole o piove a dirotto. E tu ci stai.
E ti bevi la “riforma” autoritaria (nel merito e nelle modalità d’approvazione) dell’Italicum (è una ri-forma, mica si può rimanere ancorati alla forma del passato); la “buonascuola”, che favorisce i ricchi, le scuole private e lascia a casa insegnanti già abilitati (lo dice la parola stessa: è buona, quindi è buona); le “tutele crescenti” e il “rimansionamento” del Jobs Act (se ti dico che sono in realtà “calanti” e ti “demansiono” mica mi voti); l’Expo che “nutre il pianeta”, cominciando da Farinetti (da qualcuno si dovrà pure cominciare, no?); i black bloc che rovinano la festa (e così non si parla di chi protesta – giustamente e pacificamente – per i lavori non finiti, gli scandali degli appalti, i soldi pubblici sprecati, le infiltrazioni mafiose, e se Fedez interviene è un “mentecatto”); il “basta col capitalismo di relazione” (tanto chi si ricorda Davide Serra o il decreto sulle banche popolari?); e il giù le mani da De Gennaro, Descalzi, i sottosegretari indagati e i candidati alle regionali condannati (il “Daspo per i politici corrotti” vale solo come flatus vocis all’indomani dello scandalo, per tutti gli altri giorni c’è “L’avviso di garanzia non può costituire un vulnus all’esperienza professionale di una persona”).
E, a forza di bere l’assenzio-Renzi, sei ubriaco e felice, e l’Italia diventa Disneyland. Finché dura l’effetto. Tanto, appena cala, è pronto il nuovo bicchierino di parole. Stravolte anche per togliersi qualche sassolino: l’ex direttore De Bortoli gli dà del “maleducato di talento”? E Renzi rifila un’altra citazione farlocca di Gilbert Keith Chesterton: “La democrazia è il governo dei maleducati, e l’aristocrazia è degli educati male”. Tiè. Ma Chesterton ha scritto tutt’altro: “Democrazia significa governo degli incolti” (cioè dei non educati, non istruiti), “aristocrazia dei maleducati” (cioè educati male). Mi sa che Renzi rientra in entrambe le categorie. Ma tanto #chissenefrega? Chi va a controllare? Basta che funzioni qui e ora, e se la bevano. Glu-glu.