Referendum, Economist: “L’Italia dovrebbe votare No”

Oh guarda guarda, Matteo Renzi e i pasdaran del SI che avevano paventato disastri politici e naturali, dall’allargamento del buco dell’ozono fino all’invasione delle cavallette se avesse vinto il NO, appoggiati dal gotha della finanza internazionale, Financial Times su tutti, sono ora smentiti  da una importante testata finanziaria come l’Economist.

En passant questo mensile ci ricorda che l’Italia ha già prodotto personaggi come Benito Mussolini e Silvio Berlusconi e che non è il caso di approvare una costituzione che dà un potere esageratamente ampio al suo primo ministro.

Vediamo più in basso in questo articolo tratto dal quotidiano La Repubblica cosa ci racconta l’Economist:

“LONDRA – L’Italia dovrebbe votare no nel referendum del 4 dicembre. Lo afferma l’Economist, in un editoriale nel numero che arriva oggi in edicola. Il settimanale britannico scrive che il nostro paese ha effettivamente bisogno di ampie riforme, “ma non quelle proposte” da Renzi nel referendum. L’autorevole giornale, che negli ultimi mesi si è schierato contro la Brexit e contro la candidatura di Donald Trump alla Casa Bianca, scrive che l’attuale presidente del Consiglio ha rappresentato una grande speranza di cambiamento e che il referendum, nelle sue intenzioni, serve a realizzare i cambiamenti di cui l’Italia ha bisogno per far crescere l’economia nazionale e non essere più “la principale minaccia alla sopravvivenza dell’euro”. Ciononostante, come sostiene fin dal titolo dell’articolo, l’Economist non ha dubbi: “L’Italia deve votare no” nel referendum.

Le modifiche costituzionali proposte da Renzi, osserva il settimanale, non affrontano il vero problema, che è il rifiuto italiano di fare le necessarie riforme. “E ogni secondario beneficio” ricavato dalle modifiche in questione verrebbe contraddetto dalle conseguenze negative, “sopra tutto il rischio che, cercando di mettere fine all’instabilità che ha dato all’Italia 65 governi dal 1945, si crei un uomo forte. Questo è il paese che ha prodotto Benito Mussolini e Silvio Berlusconi ed è vulnerabile in modo preoccupante al populismo”.

E’ vero che il sistema bicamerale italiano produce uno stallo e riformarlo sembrerebbe logico, prosegue l’editoriale dell’Economist, “ma i dettagli della riforma insultano i principi democratici”. Il Senato “non sarebbe eletto”, bensì composto di membri di assemblee regionali e sindaci: e il giornale nota che i poteri locali in Italia sono spesso i più corrotti. In secondo luogo la riforma concede al partito di maggioranza alla Camera “un immenso potere, dando al maggiore partito il 54 per cento dei seggi e la garanzia di governare cinque anni”.

Il rischio che il settimanale britannico intravede è che a beneficiare di queste condizioni sarebbe in futuro Beppe Grillo: “Lo spettro di Grillo come primo ministro, eletto da una minoranza e tenuto al potere dalle riforme di Renzi, è una possibilità che molti italiani e una gran parte dell’Europa giudicano allarmante”.

E come valutare il “rischio di un disastro” se il referendum sarà bocciato? L’Economist conclude così l’editoriale: “Le dimissioni di Renzi potrebbero non essere la catastrofe temuta da molti in Europa. L’Italia potrebbe mettere insieme un governo tecnico ad interim, come ha fatto molte volte in passato. Se invece un referendum perduto scatenasse il collasso dell’euro, allora sarebbe un segnale che la moneta europea era così fragile che la sua distruzione era solo questione di tempo.”