RAMBO HAWA

hawa abdi

A quasi 15 anni dalla guerra civile la Somalia resta un Paese in guerra. Tanto che gli americani sono ritornati dopo che i vertici di Al-Shabab, gruppo islamico di ribelli radicali, aveva interrotto le connessioni Internet. In questa terra Hawa Abdi, la più famosa attivista somala per i diritti umani, una delle prime donne medico, combatte la sua battaglia da oltre 30 anni. La sua storia è raccontata in Tener viva la speranza (Vallardi, 2014).

Per la prima volta dal 1993 gli americani sono tornati in Somalia. Sono passati 11 anni. E il Paese è cambiato, molto. Ma il clima è sempre da guerra civile. Alla fine di gennaio, le connessioni internet sono state bloccate dopo che i vertici di Al-Shabab, gruppo islamico radicale, avevano ribadito che “qualsiasi organismo si fosse rifiutato di ottemperare alle loro richieste” sarebbe stato “considerato un collaborazionista del governo” e quindi “punito come prevede la Sharia”.

IL RITIRO DEI KENIANI Nella giornata del 7 febbraio la maggior parte delle truppe dell’esercito keniano dispiegate finora a Kismayo, nella regione meridionale di Jubaland, in Somalia, e già roccaforte fino al 2012 degli Al-Shabab, ha cominciato a ritirarsi dalla città portuale in seguito alla progressiva normalizzazione della situazione della sicurezza. Ma il fronte resta caldo.
Soltanto nel 2013, come calcolato dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, oltre 42mila somali hanno cercato asilo nei paesi limitrofi e in altre regioni del mondo. Sebbene infatti in alcune aree di queste regioni le condizioni di sicurezza siano migliorate, il conflitto armato è tutt’ora in corso e molti cittadini somali sono costretti ad abbandonare il proprio paese a causa della diffusa insicurezza e delle violazioni dei diritti umani.

IL CORAGGIO DI AWA È in questa situazione che opera Hawa Abdi, la più famosa attivista somala per i diritti umani, una delle prime donne medico della Somalia nonché fondatrice di un campo profughi che è arrivato ad ospitare oltre 90.000 persone. La sua storia è raccontata nell’autobiografia Tener viva la speranza (Vallardi, 2014), e lancia un messaggio chiaro: non arrendersi di fronte alla difficoltà, alla paura, alla guerra. Tener viva la speranza, appunto, come ha sempre fatto questa donna certamente straordinaria.

DA MOGADISCIO A KIEV Nata a Mogadiscio nel 1947, figlia di un operaio portuale e ben presto orfana di madre, dovette occuparsi delle quattro sorelle più piccole in una condizione di assoluta povertà poi, a soli dodici anni, si sposò. Un’infanzia e un’adolescenza difficili, che non le hanno fatto perdere la voglia di fare: grazie a una borsa di studio sovietica, Hawa riuscì ad andare a Kiev per studiare medicina, diventando la prima ginecologa somala.
Tornata a Mogadiscio, prese una seconda laurea in giurisprudenza e poi rimase all’università come assistente alla facoltà di Medicina. Nel 1983 riuscì ad avviare un ospedale, che all’inizio era solo un ambulatorio con una stanza di degenza, a circa venti chilometri dalla capitale Mogadiscio, nel corridoio di Afgoi, nelle terre di famiglia, prestando assistenza gratuita agli abitanti della zona.

LA CORSA AL PREMIO NOBEL Dopo che nel Paese scoppiò la guerra civile nel 1991, la struttura divenne uno dei campi profughi più vasti del paese. Con l’aiuto delle sue figlie, Hawa Abdi ha fornito protezione, cure mediche e istruzione a decine di migliaia di donne e uomini somali per più di vent’anni. E oggi nel campo ci sono anche un consultorio e una scuola, frequentata da 850 bambini. Candidata al premio Nobel per la Pace, Hawa è stata chiamata “la madre Teresa della Somalia”, per il suo impegno al servizio degli altri e la sua straordinaria umanità, ma anche “ma anche “Rambo” per la risolutezza e il coraggio che la animano. È grazie a quest’ultimo che ha saputo resistere all’invasione della milizia radicale Hizbul Islam, che si è presentata alla sua porta minacciandola perché “sei una donna, non puoi fare cose come queste”.

fonte: Cadoinpiedi.it

http://www.cadoinpiedi.it/2014/02/08/rambo_hawa.html#anchor