Ragionando sul fascismo
Le interpretazioni. Il regime e l’ideologia. La nascita del Msi. Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale, Terza Posizione. NATO e servizi segreti. Alleanza Nazionale: la metamorfosi. Fiamma Tricolore, Forza Nuova, CasaPound. Il neofascismo come agente provocatore. Imparare a distinguere il fascismo, comunque camuffato, e a combatterlo senza tregua
In un passaggio del suo più recente libro, intitolato “I nuovi volti del fascismo”, Enzo Traverso segnala l’abuso che in Francia si fa nel discorso pubblico della parola «fascismo», cui troppo frequentemente si ricorre per fini polemici e di denigrazione dell’avversario politico, oppure per qualificare fenomeni e processi che non sopportano di essere sbrigativamente etichettati, e che richiedono altre categorie di analisi e d’interpretazione. Da noi avviene l’opposto. La parola fascismo è usata con grande parsimonia, quasi con imbarazzo, ed è comunque sempre strettamente riferita a un regime che si vuole morto e sepolto, e il cui ricordo si preferisce rimuovere.
Questa rimozione non è però dettata dalla vergogna, dal senso di colpa; anzi, è da tempo in atto il tentativo di minimizzare le responsabilità storiche della dittatura fascista, o ‒ peggio ancora ‒ di rivalutarne l’operato. Il leader di un importante partito (che pure si proclama democratico e liberale) ha affermato che il fascismo, a differenza del nazismo, in fondo non ha ucciso nessuno (cancellando con un sol colpo di spugna la memoria di don Minzoni, di Matteotti, di Piero Gobetti, di Giovanni Amendola, dei fratelli Rosselli, di Gramsci, per limitarci ai nomi più noti); e una personalità molto in vista di un movimento politico che si distingue per le sue professioni di fede nella democrazia diretta ha dichiarato che al regime fascista dovevano essere riconosciuti molti meriti fino alla promulgazione delle leggi razziali, che dette inizio alla sua degenerazione.
A ben vedere, da noi lo sforzo di esorcizzare lo spettro del fascismo si spiega con il rifiuto ostinato di riconoscere la matrice fascista di modi di pensare, di pregiudizi, di comportamenti che non costituiscono il patrimonio esclusivo di gruppi di nostalgici, di formazioni politiche che si richiamano esplicitamente al ventennio, ma che sono largamente diffusi nella società civile e nello stesso sistema politico.
Procediamo con ordine: col chiederci cioè, preliminarmente, che cosa è il fascismo. In merito, le interpretazioni sono state molteplici. Per restare alle principali, e passandole schematicamente in rassegna, conviene menzionare innanzitutto quella cosiddetta radicale, che può essere riassunta nella celebre definizione del fascismo come «autobiografia della nazione», coniata da Piero Gobetti. Per l’intellettuale torinese, il fascismo era la manifestazione del carattere “servile” degli italiani (tradizionalmente inclini all’obbedienza al potente di turno), ma anche la conseguenza delle storture del processo di unificazione nazionale (da cui erano rimaste escluse le masse contadine), della corruzione delle classi dirigenti, dei ritardi e degli squilibri che avevano caratterizzato la modernizzazione capitalistica nel nostro paese. Vi è stata poi l’interpretazione liberale, la cui paternità va attribuita a Benedetto Croce, e secondo la quale il fascismo era da ritenersi come una parentesi buia, una malattia morale dello spirito europeo: ma una malattia transitoria, destinata a essere sconfitta dalla “religione della libertà” (dal liberalismo appunto). L’interpretazione cattolicagiudicava invece il fascismo come un prodotto della “secolarizzazione”, dell’eclisse del sacro e del distacco della civiltà europea dalle sue radici giudaico-cristiane, fenomeni entrambi generati dall’illuminismo e dalla modernità capitalistica (sotto questo punto di vista, il fascismo finiva per rivelare sostanziali analogie con il comunismo). Per l’interpretazione marxista, infine, il fascismo rappresentava la dittatura di classe della borghesia, che aveva scelto di sacrificare le libertà democratiche da essa stessa conquistate al mantenimento dei suoi privilegi (Palmiro Togliatti preferì parlare di «regime reazionario di massa» per sottolineare il consenso spontaneo ottenuto dal fascismo, a prescindere dal suo formidabile apparato coercitivo).

Allo stato attuale del dibattito politico e storiografico, vi è una larghissima convergenza sull’idea che il fascismo sia stato una forma di stato totalitario, instaurata dalle borghesie capitalistiche di alcuni paesi europei con l’obiettivo non soltanto di fermare l’avanzata del movimento operaio ma anche di modernizzare dall’alto (autoritariamente) le economie nazionali. Ovunque sia andato al potere, il fascismo ha costruito un sistema politico e istituzionale fondato su un partito unico, sulla identificazione di partito e Stato, sul culto del capo, sulla statolatria, sulla subordinazione del potere legislativo e di quello giudiziario all’esecutivo, sulla soppressione delle libertà civili (a cominciare da quelle di associazione e di espressione), sulla repressione del dissenso, sulla censura, sulla delazione, sul dirigismo in economia, sul bellicismo. Questi caratteri sono largamente comuni anche al nazismo tedesco, al falangismo spagnolo, al salazarismo portoghese.
Fonte: Patria Indipendente
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