Quei bambini nel lager gestito dalla Curia

I ragazzini, ospiti della struttura cattolica ma finanziata con fondi regionali erano costretti a vivere in stabili senza finestre, fatiscenti, ammassati in pochi metri quadri, con bagni senza acqua calda. Spesso rimanevano anche senza cena. Ora la Procura ne ha disposto l’immediato sequestro. Ma il monsignore si difende e scarica le responsabilità

Stanze stipate di letti che si toccano l’uno con l’altro. Corridoi sporchi. Impianti a vista. Vasche da bagno usate per lavare piatti e stoviglie. «Se trovassimo un minore in queste condizioni chiederemmo alla procura di toglierlo alla famiglia subito – dice un educatore – Ma qui la situazione è così». “Qui” è il centro di accoglienza per minori dellaFondazione Unitas cattolica di Reggio Calabria, scelto e finanziato dalla Regione, per ospitare i ragazzi in stato di abbandono. A governarlo, è un amministratore delegato di nomina vescovile – monsignor Antonello Foderaro – affiancato da un consiglio di amministrazione, per metà nominato dalla Curia. Ma la Chiesa non ci mette un euro.

L’intera struttura funziona solo con soldi pubblici e donazioni. O meglio, funzionava fin quando la Questura, per ordine del procuratore capo Federico Cafiero de Raho e dell’aggiunto Gaetano Paci, non ne ha sequestrato gran parte, disponendo l’immediato trasferimento di una trentina di ragazzi dai 12 ai 17 anni egiziani, maliani e gambiani, a causa delle terribili condizioni in cui erano costretti a vivere. In attività è rimasta solo una piccola comunità,  umile ma dignitosa, che ospita minori italiani e comunitari. Quella per i ragazzi stranieri – si lascia scappare un operatore – «era un lager».

Reggio Calabria, il centro per minori è un inferno

INFERNO UNITAS

Confinati in plessi fatiscenti, con infissi zoppi e porte divelte, parcheggiati in troppi in camerate piccole e  asfissianti, negli anni passati all’Unitas i minori hanno imparato ad arrangiarsi. Hanno imparato a lavarsi anche in inverno con l’acqua fredda, perché la mancanza di manutenzione ha fatto fuori le caldaie. O a ricorrere alla fontanella in cortile quando l’elettricità manca o il voltaggio viene ridotto per morosità, puntualmente sanata grazie a donazioni. Nelle afose giornate estive, hanno trascinato i loro vecchi materassi e qualche divano sventrato in terrazza, per sfuggire al tanfo di sporco antico, frutta andata a male e muffa che alberga nelle camerate sovraffollate. Lì – dicono – è impossibile dormire.

PER LA CENA CHIAMATE LA PROTEZIONE CIVILE
Ma all’Unitas – talvolta – è anche difficile mangiare.  «Ci sono stati dei giorni – dice Marcella Ritto, assistente sociale che da decenni lavora nella struttura – in cui non c’erano una bottiglia di olio e due pomodori per fare un sugo. Poi arriva sempre qualche offerta che permette di mettere qualcosa a tavola a pranzo». Per la cena invece, spesso ci ha pensato la Protezione civile. Per lungo tempo, la palestra dell’Unitas è stata adibita a centro di accoglienza temporaneo per i migranti sbarcati a Reggio.  Quando i volontari si sono accorti della bramosia con cui i ragazzini residenti guardavano i pasti che venivano serviti, hanno iniziato a farne portare qualcuno in più.

AFFIDATI A CHI?
Ma quando qualcuno dei minori è rimasto senza cena, non ha trovato nessuno del personale Unitas cui in teoria è affidato per potersi lamentare. Via via che le mensilità non pagate si sono accumulate fino a raggiungere quota 39, in molti tra i lavoratori hanno deciso di lasciare. E nessuno li ha sostituiti.  Ad occuparsi dei ragazzi stranieri è rimasto solo un educatore, che concluse le sue otto ore di turno va via. La sera i minori sono da soli, mentre di giorno «non sappiamo dove passino le giornate», confessano dal personale. I più, adesso che le scuole sono finite – spiegano – si allontanano per cercare un lavoro necessario per poter provvedere alle piccole spese: cibo,prodotti per l’igiene intima, una scheda telefonica per chiamare casa.

INSORGE LA PROCURA
Uno scandalo oggi finito al centro di un’indagine della Procura di Reggio Calabria, che punta a capire non solo chi ha permesso che una trentina di minori vivessero in quelle condizioni, ma anche in che modo siano stati gestiti i fondi che nel tempo sono stati destinati all’Unitas. Quasi indignato, Monsignor Foderaro si difende, scaricando le responsabilità sulla Regione, che pur ammettendo un parziale ritardo nel pagamento delle rette, sottolinea come –  fino al marzo scorso – l’ad abbia autorizzato nuovi ingressi di ragazzi in struttura, assicurando di poter rispettare la rigida convenzione stipulata che prevede pasti completi, una struttura dignitosa, assistenza e inserimento. Tutti programmi – è emerso da  un accesso agli atti che risale al febbraio scorso – negli anni regolarmente finanziati.

MISTERO BILANCI
Dall’ottobre 2011 all’aprile del 2014 – solo di rette – all’Unitas sono stati versati oltre 700mila euro. Di più non è dato sapere, perché l’amministrazione non ha mai voluto mostrare i bilanci ai dipendenti, obbligati a ricorrere al Tar, pur di avere accesso a quelle carte, che nonostante una sentenza favorevole ancora non hanno in mano. Chi ha intenzione di acquisirle, insieme ad atti e documenti già sequestrati,  è la Polizia provinciale, che adesso per ordine della Procura, dovrà indagare sulla gestione di quei fondi, mentre toccherà alla Questura occuparsi dei profili che riguardano i minori. I ragazzi invece non possono che continuare ad aspettare di avere un posto da chiamare casa.