da www.bliz quotidiano.it. La storia si ripete, almeno nel caso di Stefano Rodotà, che sabato 20 aprile ha visto sfumare la sua elezione ad una carica dello Stato perché gli è stato preferito Giorgio Napolitano.
Giovanni Innamorati, dell’agenzia di stampa Ansa, ha scovato il precedente e lo racconta, rivelando che anche allora Rodotà rivelò un lato molto trasparente di vanità che certo non depone a favore di chi ricopre una carica pubblica. E anche allora Rodotà si mise in contrasto con il suo partito, del quale all’epoca era presidente, prendendo voti al di fuori del perimetro: ieri da Verdi, Rete e Radicali, oggi da Beppe Grillo e Sel. Scrive Giovanni Innamorati:
“Nel maggio 1992 Rodotà aspirava a diventare Presidente della Camera ma sullo scranno finì Giorgio Napolitano”
La bruciatura portò alle dimissioni polemiche di Rodotà dalla carica di vice presidente della Camera che all’epoca occupava e anche da presidente del Partito, per pura ripicca.
Ricorda ancora Giovanni Innamorati:
“Il 25 maggio del 1992 il presidente della Camera Oscar Luigi Scalfaro fu eletto al Quirinale, e la sua proclamazione fu effettuata proprio da Rodotà, allora vice presidente vicario. Si aprì quindi la corsa alla sostituzione di Scalfaro e Rodotà, che era anche presidente del Consiglio nazionale del Pds, fu indicato come candidato dalla Rete, dai Verdi e dai Radicali”.
“Il suo partito gli preferìva però Giorgio Napolitano. Così il 27 maggio Rodotà mise le mani avanti e ,in una intervista, annunciò che nel caso in cui il Pds avesse fatto eleggere un altro esponente del partito, lui non si sarebbe dimesso da vice presidente, così da permettere che nell’ufficio di presidenza fosse eletto un esponente della Dc, in onore del principio dell’equilibrio della rappresentanza di tutti i partiti.
“L’intervista fu giudicata ”intempestiva” da Massimo D’Alema, che all’epoca era capogruppo alla Camera. Un lungo colloquio fra Rodotà e D’Alema non spense le tensioni tra i due e Rodotà confermò la volotà di rimanere al suo posto. Dopo un braccio di ferro con il segretario Achille Occhetto, Rodotà ottenne la candidatura da parte del Pds, ma il 1 giugno non fu eletto per l’ostilità del Psi, senza ottenere nemmeno tutti i voti dei deputati del Pds nei primi quattro scrutini.
“Dopo una polemica riunione del gruppo Stefano Rodotà si dimise da vicepresidente della Camera e anche dalla presidenza del Partito, che lanciò la candidatura di Giorgio Napolitano il quale, al quinto scrutinio, fu eletto Presidente della Camera con 360 voti. Allora a Rodotà arrivarono 61 voti”.