di Angelo Gerosa. Storia curiosa e poco conosciuta quella del Partito dei Contadini d’Italia che visse fino al 1958 con diversi sindaci, consiglieri provinciali ed anche una sia pur sparuta rappresentanza parlamentare.
Il Partito si formò alla fine della prima guerra mondiale, alle elezioni del 1924 elesse 4 deputati e poi venne sciolto dal fascismo.
Durante la resistenza alcuni suoi dirigenti diedero vita a formazioni partigiane nel Monferrato ed operarono nel CLN del Piemonte.
Alle elezioni per l’Assemblea Costituente del 1946 il PdCd’I prese 102.000 voti (0,5%) ed elesse un deputato nel Piemonte occidentale con 71.000 voti pari al 9%, risultato dovuto al forte radicamento nella provincia di Asti dove con il 21% dei voti fù il secondo partito ed ottenne la maggioranza assoluta in numerosi comuni.
Il deputato, l’astigiano Alessandro Scotti, aderì al gruppo parlamentare del Partito Democratico del Lavoro, una formazione liberale di sinistra.
Nelle elezioni del 1948 il partito compi il piccolo miracolo di resistere alla forte polarizzazione del voto su Democrazia Cristiana e Fronte Popolare, perse “solo” 6.000 elettori e confermò il suo deputato nella roccaforte del Piemonte occidentale, dove però scese dal 9% al 6,5%.
In parlamento, essendosi nel frattempo dissolto il Partito Democratico del Lavoro, il deputato Scotti fece gruppo con il PRI.
Nelle elezioni del 1953 il Partito, pur sedendo nel gruppo parlamentare repubblicano, si presentò nelle liste del Partito Monarchico. Una palese contraddizione politica che servì allo scopo di salvare il seggio di Scotti.
Alle elezioni del 1958 il partito osò pensare in grande: alleanza con il Partito Sardo d’Azione ed il Movimento Comunità dell’industriale progressista Adriano Olivetti, con la dichiarata ambizione di superare il mezzo milione di voti ed entrare nel gotha della politica. Svolta a sinistra non condivisa da Scotti che lasciò il partito per candidarsi con i monarchici ma, stavolta, senza fortuna.
La coalizione si impose come primo partito ad Ivrea dove elesse deputato Adriano Olivetti, ma racimolò solo 173.000 voti (0,6%), troppo poco per partecipare alla ripartizione dei seggi non assegnati. in quanto la legge elettorale in vigore prevedeva la soglia di 300.000 elettori al fine di partecipare a tale ripartizione dei seggi. Senza questo sbarramento la coalizione avrebbe eletto altri due deputati: il sardista Giovanni Melis in Sardegna (3,9%) e Vincenzo Balestrini uno nel, sia pur ridimensionato, feudo “contadino” del Piemonte occidentale (2,9%).
Anche al Senato andò male: in Piemonte il risultato elettorale fu buono (4,5%) ma insufficiente, seppur di solo mille voti, ad eleggere il senatore. Sarebbe stato eletto Olivetti nel seggio di Ivrea (28,5%) che, optando per la Camera, avrebbe promosso il candidato “contadino” Giuseppe Bosia del seggio di Asti (6,8%).
Una duplice delusione che sancì la fine del Partito dei Contadini d’Italia.
Alle elezioni del 1963 un simbolo civetta con la classica spiga di grano e la scritta Concentrazione Unità Rurale recuperò il voto d’opinione del partito contadino (92.000 voti) ma non lo “zoccolo duro” della roccaforte piemontese che garantiva il quorum parlamentare.
Nel Nordmilano operaio naturalmente il Partito dei Contadini non ebbe alcun seguito. Per la precisione nelle elezioni del 1948 complessivamente tra Sesto, Cinisello, Cologno e Bresso furono 39 i voti per la spiga di grano: neppure lo 0,1% !