di Angelo Gerosa.
Nelle elezioni politiche del 1983 Umberto Bossi, ambizioso ed eccentrico quarantenne a capo di uno sparuto gruppetto di Lumbard, lancia la sfida alla più esperta e radicata Liga Veneta.
La posta in palio è la supremazia nel campo regionalista .
I Lumbard si alleano con il Piemunt autonomista del cantante Gipo Farassino e con la Lista per Trieste che, avendo eletto un deputato nelle elezioni del 1979, permette al raggruppamento bossiano di presentarsi in tutta Italia (Veneto compreso) senza dover raccogliere firme.
La Liga in Veneto con il 4%, pari a 125.000 voti, elegge il deputato Achille Tramarin ed il senatore Graziano Girardi mentre Bossi e compari, in tutta Italia, raccolgono solo 90.000 voti (0,25%) e perdono pure il deputato triestino.
Il primo derby leghista è quindi stravinto dalla Liga. Ma il Bossi non si da per sconfitto: dopo 4 anni si torna alle urne e l’Alberto da Giussano rilancia la sfida al leone di San Marco.
La rivincita del derby leghista stavolta si svolge a ruoli invertiti: è la Liga ad avere rappresentanza parlamenta re e quindi a potersi presentare in tutta Italia (candidando anche esponenti dei Pensionati Uniti), mentre il Bossi, in corsa solitaria, si presenta solamente in Lombardia, ed i piemontesi si dividono in due distinte liste Piemunt e Piemont Autonomia.
La Liga raccoglie molti voti, 300.000 per l’esattezza, ma in Veneto ne perde 30.000 e non supera il quorum, ne alla camera ne al senato.
Il Bossi, con 186.000 voti, in Lombardia viene eletto sia senatore che deputato nel collegio Como-Varese-Sondrio (seggio lasciato a Giuseppe Leoni).
Per la Liga oltre al danno la beffa: stante la diversa ripartizione demografica il Bossi con il 2,5% in Lombardia diventa senatore mentre loro con il 3,3% in Veneto restano a bocca asciutta.
Ed i piemontesi si mangiano le mani: diviso tra i due simboli identici il loro 4,2% non serve a nulla.
In conclusione circa 600 mila voti “nordisti” ed un solo “senatur”.
La verità è che Liga perde la “rivincita” del derby leghista perché si illude di poter rappresentare una etnia, al pari della SVP nel vicino Alto Adige, e pertanto concentra ogni sforzo a promuovere lingua e cultura veneta ed a decantare il mito della Serenissima Repubblica di San Marco, con tanto di denuncia del tradimento del trattato di pace nel 1886 che , a loro dire, assegnò il Veneto ai veneti e non ai Savoia.
Bossi, molto più pragmatico, parla di Roma Ladrona, di tasse da non pagare, di produttori del nord e parassiti del sud. Giunto in parlamento, diventa per tutti il “senatour”, fonda la Lega Nord e riunisce le diverse leghe regionali, veneti compresi.
Nelle elezioni del 2003 i veneti irriducibili, che non sono confluiti nella Lega del Bossi, tentano un’ultima sortita e come Lega Autonomia Veneta raccolgono 152.000 voti, pari al 5%, eleggono al senato PierLuigi Ronzano ed alla camera Rigo Noale.
Un risultato più che dignitoso, ma neppure confrontabile con l’exploit del Bossi che in quelle stesse elezioni elegge un esercito di 80 parlamentari (di cui ben 12 in Veneto).
Siamo alla vigilia di mani pulite e della seconda repubblica e le strade dei leghisti lombardo-veneti si dividono.
Bossi ed i suoi seguaci, tra cui anche i vari Galan, Zaia e Tosi, entrano nello stato maggiore del centro destra.
Gli irriducibili della Lega Autonomia Veneta trovano ascolto ed attenzione in Massimo Cacciari, filosofo nonchè sindaco di Venezia, fondano il Movimento “Veneto Nord Est” ed approdano nell’Ulivo di Prodi.
P.S. nel nordmilano, terra d’immigrazione, anche veneta, il derby leghista del 1987 vide la Liga racimolare voti (0,5% a Cinisello, 0,6 a Cologno, 0,8% a Sesto) e il Bossi ottenere molto meno della media regionale (1% a Cinisello e Cologno, 1,3% a Sesto).