Proposta di legge Costituzionale di iniziativa Popolare

PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d’iniziativa Popolare

Modifiche agli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione, concernenti l’equilibrio di bilancio (il principio del “pareggio di bilancio”), al fine di salvaguardare i diritti fondamentali della persona

La legge costituzionale n. 1 del 2012 ha introdotto nella Carta costituzionale il principio del pareggio di bilancio (“equilibrio tra le entrate e le spese”). Si tratta di una modifica costituzionale infausta, frutto del peggior revisionismo costituzionale. Negativi gli effetti prodotti, anzitutto sul nostro sistema economico, già fortemente danneggiato. Secondo i dati resi noti dall’Istat nel gennaio 2018 la disoccupazione in Italia è pari all’11% e quella giovanile al 32,7%. Tali cifre non ci dicono però tutto della realtà, poiché i criteri di rilevazione in uso permettono di conferire la qualifica di “occupato” – come sta scritto nel Glossario accluso alla Rilevazione sulle Forze di Lavoro dell’Istat – a tutti coloro che nella settimana di riferimento “hanno svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura”, ovvero anche se non sia stata retribuita. Se consideriamo il periodo 2007-2016 constatiamo una diminuzione della produzione industriale del 22% (secondo i dati forniti dall’Unctad, la Conferenza dell’Onu su commercio e sviluppo). Significativo è l’andamento del debito pubblico nel nostro paese, specialmente se ne consideriamo l’evoluzione in un arco di tempo più ampio. Negli ultimi ventuno anni in Italia il rapporto fra debito pubblico e Pil è cresciuto di 15,7 punti, da 116,9 a fine 1995 a 132,6° fine 2016. E’ il risultato di una diminuzione di 17,1 punti nel periodo precedente alla Grande recessione, quindi dal 1996 al 2007, e di un aumento di 32,8 punti negli anni successivi. (fonte: Ufficio parlamentare di bilancio)

Contemporaneamente in Italia sono cresciute le diseguaglianze. Il Rapporto dell’Oxfam, presentato al World Economic Forum di Davos nel gennaio 2018, evidenzia che l’Italia si colloca al ventesimo posto per diseguaglianza dei redditi nella classifica mondiale. Se si fa il confronto tra i paesi della Unione europea, relativamente al 2016, si vede che il nostro paese è agli ultimi posti nella riduzione delle diseguaglianze (rielaborazione Oxfam su dati Eu-Silc, Eurostat), avendo fatto peggio della media dei paesi Ue e della stessa Grecia contro cui si è particolarmente accanita la politica di austerità imposta da Bruxelles. La povertà in Italia non solo cresce, ma aggredisce anche chi il lavoro ce l’ha, a causa delle troppo basse retribuzioni e la crescente precarizzazione dei rapporti di lavoro.

Dinnanzi a questa rotta dell’economia, che pure ha evidenti ed importanti ragioni sovranazionali, la modifica del testo della nostra costituzione volta ad assicurare un astratto equilibrio e a limitare in concreto il ricorso all’indebitamento è apparsa una soluzione di natura puramente ideologica, facendo apparire le particolari politiche di stampo neoliberista e di rigore come le uniche costituzionalmente compatibili. Ma, ciò che più appare grave è che i vincoli costituzionalmente imposti all’azione di pubblici poteri e i limiti alle finanze pubbliche non hanno tenuto in nessun debito conto la necessità di assicurare i diritti fondamentali delle persone. Sono questi valori costituzionalmente incomprimibili, declinati nel testo della nostra costituzioni come diritti “inviolabili”, che la Repubblica deve in ogni caso riconoscere e garantire (ex articolo 2 della nostra Costituzione).

D’altronde, neppure vincoli europei possono legittimare la scelta compiuta nel 2012 dal revisore costituzionale italiano. Vero è, infatti, che in sede europea si sono prodotti una serie di documenti (Trattati, regolamenti, raccomandazioni, lettere) tutti indirizzati a perseguire la politica del “rigore” che si è dimostrata fallimentare. Molte sono state inoltre le sollecitazioni rivolte ai singoli Stati affinché adottino normative restrittive delle spese e limitative dei diritti (di quelli sociali in specie). Alcuni vincoli sono stati introdotti direttamente nella normativa europea o in quella collaterale (Patto Euro plus Six Pack entrambi del 2011, Fiscal compact – “Trattato di stabilità – del 2012, Two Pack del 2013), però nessuno di questi atti ha “imposto” una modifica costituzionale ai Paesi soggetti alla normativa europea.

Lo stesso Fiscal compact – al quale, in base alla retorica dominante, si imputa la scelta di modificare la Costituzione introducendo il principio di pareggio – ha obbligato sì a introdurre principi di equilibrio dei conti “tramite disposizioni vincolanti e di natura permanente”, ma con una semplice indicazione di “preferenza” per il livello costituzionale (art. 3, comma 2 del Fiscal compact). La scelta dunque di “costituzionalizzare” il principio del pareggio di bilancio ricade pienamente nella responsabilità politica del Parlamento italiano. Ciò comporta il gravissimo effetto di rendere immodificabili le politiche del rigore anche nell’ipotesi – auspicabile e da perseguire politicamente – di un ravvedimento a livello europeo…per continuare a leggere…

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