Replay…Programma all’indietro

tasse

mio commento: se il governo toglie da una parte e carica dall’altra il prodotto non cambia. Oltretutto se le tasse sulla prima casa vengono cancellate chi gode di più sono i nuclei famigliari che economicamente stanno molto meglio rispetto alla maggior parte dei cittadini poveri e impoveriti. Le disparità sociali si accentueranno ulteriormente. A quanto pare gli ultimi governi, compreso ovviamente questo, hanno compiuto ciò che la destra del personaggio di Arcore avrebbe voluto fare nel suo ventennio maldestro. A proposito nel nostro paese i ventenni si sprecano. Mario Piromallo

Governo. Tagliare le tasse, mano libera a chi vuole «provarci», lo stato non intralci, prova di forza sulla Costituzione, gli Usa «stella polare». Gli impegni di Matteo Renzi per l’autunno. Da Comunione e Liberazione e a Pesaro disegna un’uscita dal ventennio di Berlusconi, con le ricette di Berlusconi

«Un ven­ten­nio bloc­cato da ber­lu­sco­ni­smo e anti­ber­lu­sco­ni­smo», Renzi li mette sullo stesso piano. E tocca al petto quella parte dell’opposizione che guarda con nostal­gia agli anni in cui, alla fine, in un modo o nell’altro Ber­lu­sconi lo si fer­mava. Renzi invece no, pare inar­re­sta­bile. Lo rac­conta così tutta la stampa affia­tata, e al Cava­liere man­cava. Ma dove va? Va verso l’uscita dal ven­ten­nio, all’indietro.
A Pesaro fa un discorso emo­zio­nale. Dice che «dob­biamo cre­dere in noi stessi», si rifiuta di citare per nome il suo avver­sa­rio (è Sal­vini), fa scor­rere le imma­gini delle piazze e dei bor­ghi d’Italia. Pare il Vel­troni del Lin­gotto, quello del «non parlo da uomo di parte ma da ita­liano». A Rimini dice che abbas­sare le tasse, can­cel­lare l’Imu anche sulle case di lusso, «è un fatto di equità». Poe­tica ber­lu­sco­niana, prosa di Mar­ga­ret That­cher: «Il com­pito dello stato è lasciare le per­sone libere di fare», copia. Il salto all’indietro è un salto doppio.

«Il com­pito del governo è costruire la cor­nice e lasciare il talento umano libero di svi­lup­parsi», aveva detto la dama di ferro dell’ultraliberismo. Renzi dal Mee­ting di Comu­nione e Libe­ra­zione aggiunge la pro­messa di «libe­rare, sem­pli­fi­care, ridurre al minimo tutto ciò che blocca chi ha voglia di pro­varci». Niente che Ber­lu­sconi stesso non abbia già detto, dal «Meno tasse per tutti» al «Padroni in casa pro­pria». Eppure, secondo la rico­stru­zione ren­ziana, tutta que­sta libertà l’Italia l’ha già avuta «fino agli anni Novanta». Fino al ven­ten­nio ber­lu­sco­niano, quello in cui si sono costruite le car­riere dei suoi avver­sari interni nel par­tito. «La seconda Repub­blica è stata una rissa per­ma­nente, ber­lu­sco­ni­smo e anti ber­lu­sco­ni­smo hanno fatto met­tere il tasto pausa alla poli­tica». Non è estra­neo all’analisi il fatto che con Ber­lu­sconi lui non abbi fatto risse, ma accordi dalla Costi­tu­zione alla Rai. E che un nuovo patto appaia indi­spen­sa­bile per com­ple­tare la riforma del bica­me­ra­li­smo, per la quale la mag­gio­ranza non ha i voti al senato.

L’alternativa, il con­fronto con le richie­ste dell’opposizione e della mino­ranza Pd, non lo sfiora. Torna uti­lis­sima la buf­fo­nata dei 510mila emen­da­menti leghi­sti. «Una risata li sep­pel­lirà, noi resi­ste­remo un minuto di più di quelli che fanno gli emen­da­menti». A fianco a lui, tra i resi­stenti, non basterà Ver­dini, né basterà for­zare ancora e sal­tare il pas­sag­gio in com­mis­sione. Serve un aiuto ber­lu­sco­niano. La reto­rica del pre­si­dente del Con­si­glio è ormai sal­da­mente tarata sulla cam­pa­gna refe­ren­da­ria per il Sì. «Dicono che se non c’è ele­zione diretta è a rischio la demo­cra­zia. Non è che devi votare tante volte per­ché ci sia più demo­cra­zia: quello è il Tele­gatto». Anche con le bat­tute si resta dalle parti di Canale 5, ma è un gioco bugiardo: l’elezione diretta dei sena­tori non sarebbe un turno di vota­zioni in più, caso­mai può esserlo l’infernale mec­ca­ni­smo dell’elezione di secondo grado tra con­si­glieri regio­nali. La pro­pa­ganda chiama l’applauso, la pla­tea ciel­lina non lo nega quando Renzi aggiunge: «Mol­ti­pli­cando le pol­trone si fanno con­tenti i poli­tici, non gli elet­tori». Nes­suno ricorda che (se è que­sto il punto) le con­tro­pro­po­ste alla riforma di Renzi pre­ve­de­vano una ridu­zione mag­giore di par­la­men­tari, tra camera e senato.

Qual­cuno forse ricorda un Renzi pre palazzo Chigi altret­tanto dema­go­gico: «Non vado al governo senza pas­sare per le ele­zioni». Invece lo ha fatto, ed è a Rimini a spie­gare che «non mi sono can­di­dato al par­la­mento per­ché il sistema non pre­vede la cor­ri­spon­denza tra chi si can­dida e chi guida il paese». Anche la logica fa i salti mor­tali, il pas­sag­gio serve a par­lar bene dell’Italicum: «La legge elet­to­rale è il primo tas­sello per riu­scire final­mente a gover­nare e non difen­dersi dagli assalti della mino­ranza o dell’opposizione. È una rivo­lu­zione». Se qual­cuno si era illuso che il pre­si­dente del Con­si­glio fosse dispo­ni­bile a cor­regge la legge appena approva — pre­mio alla coa­li­zione invece che alla lista — si disil­luda presto.

Ma assai prima del refe­ren­dum sulla, c’è la legge di sta­bi­lità. E a Rimini, dopo un’estate di pre­vi­sioni in rosso, Renzi con­ferma che non saranno i pro­prie­tari di casa a doversi pre­oc­cu­pare, poveri o ric­chi che siano. «Dal pros­simo anno togliamo Tasi e Imu per tutti, non è pos­si­bile con­ti­nuare que­sto gio­chino», spiega. È da inten­dersi l’Imu sulla prima casa. Tappa di una mar­cia nel fisco che pre­vede altri due annunci: «Nel 2017 taglie­remo l’Ires, la tassa sulle imprese oggi al 31% per por­tarla al 24%, e nel 2018 abbas­se­remo l’Irpef». Pro­pa­ganda anche que­sta? Renzi risponde di no, come non lo sareb­bero stati gli 80 euro distri­buiti subito prima delle ele­zioni euro­pee. La ragione è que­sta: «La ridu­zione delle tasse non serve per il con­senso visto che non si vota fino al 2018». Sarà dav­vero così? Se non ci saranno ele­zioni poli­ti­che, le ammi­ni­stra­tive da Milano a Roma e Napoli sono già in vista. E a riprova che le pro­messe le man­tiene, il pre­si­dente del Con­si­glio cita un’altra deci­sione già presa — che però è in forse per i pros­simi anni — la decon­tri­bu­zione che per ogni assunto ha spo­stato più di otto­mila euro di soldi pub­blici alle imprese pri­vate. Dell’ingerenza del governo e del passo indie­tro dello stato, allora, non si è ricor­dato nessuno.

fonte: il Manifesto

http://ilmanifesto.info/programma-allindietro/